Un problema della “sharing economy” nei servizi alla persona: la distanza tra bene individuale e bene collettivo

pensiamo ad una classica applicazione della cosiddetta "sharing economy" che fa servizi alle persone.

il meccanismo dei rating da parte degli utenti decide chi lavora e quanto. (e in questo caso non si tratta di una facility, ma di una persona)

chi giudica gli operatori è l'insieme dei clienti.

banalizzo ed estremizzo per chiarire il concetto…

un operatore che fosse apparentemente gay, non riuscirebbe qausi a lavorare in una citta' di mormoni.

un operatore albanese lavorerebbe molto poco, nel leghistan. certamente meno di uno che parla dialetto veneto/varesino/bergamasco (a seconda della citta')

una giovane donna autista col burqa (estremizzo) lavorerebbe molto meno di una sua giovane collega in un abbigliamento che risalti le sue forme…

detto in altri termini: un sistema pubblico di validazione magari ci dice poco sulla "qualita'" reale ma e' disegnato per  assicurare che non ci siano discriminazioni per sesso, raazza, religione, abbigliamento, ecc.,

il giudizio collettivamente raccolto dagli utenti, invece, non mette al riparo da distorsioni.

il nocciolo e' che il "socialmente desiderabile" non equivale all' "individualmente desiderabile"

il problema delle pari opportunita' si e' posto in tanti ambiti. anche qui va pensato. probabilmeente occorreranno correttivi agli algoritmi per fare dei bilanciamenti (ed allora anche una autorita' di sorveglianza di questi algoritmi e gia' mi vedo le cause di chi si lamenta che l'algoritmo di bilanciamento non funziona correttamente..)

problema complicato, che a mio avviso emergerà presto.

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