1 thought on “L’erba del vicino: Google responsabile per diffamazione in Australia”

  1. E’ un cognome comune; che si assommino tutti gli atti di tutti i Duffy, e che qualche Duffy effettivamente sia stato uno psicopatico o uno strizzacervelli, e’ normale. Quindi di automazione in automazione (per migliorare le ricerche e chissa’ quale altra amenita’), chissa’ quale effetto ha questa coincidenza sulla vita di quella poveraccia (psicopatica o meno; se non lo e’, ce la fanno diventare).
    Ed e’ ancora piu’ particolare perche’ la corte ha puntato il dito sull’autocompletamento.
    “Duffy’s internet defamation case was a product of harmful search results pertaining to her, including “Autocomplete” search suggestions”
    L’autocompletamento e’ un altra di quelle features che a suo tempo abbiamo cercato di discutere in lungo ed in largo perche’ era implementata sottoforma di stream sincrono con Google (canale aperto che invia ogni lettera aggiunta e rimossa); quindi potenzialmente dannoso per le persone e per google stesso (che comunque salva i termini di ricerca per fini largamente sconosciuti, mutevoli e ampiamente mutati nel tempo). Intorno al 2007 qualcuno s’era messo a fare google-bombing per ottenere risultati visibili a tutti (es: “mastella merda”), ma quando hanno iniziato a fioccare le denunce si son dovuti fermare.
    Occorreva isolare l’identita’ delle persone (come oggi gia’ parzialmente implementato con la legge anti-cookie, e visibile tra i consigli ai genitori del sito “commissariato online”, negli ultimi 2 anni) cosi’ per lo meno non rischiano di trovarsi qualche psicopatico sotto casa. Non e’ un caso che quando mi son messo a discutere la legge sullo stalking non abbia mai scritto il nome della mia ex … cosi’ come il nick che impiego io; se lo cerchi, arrivi a Multi Function Printer: io sono relegato da qualche parte oltre le decine di milioni di risultati di ricerca. L’acronimo del tuo nome non e’ perfetto, ma non c’era compromesso migliore una volta che ci hanno costretto all’uso dei nomi e cognomi reali: il mio non e’ ne’ anonimo, ne’ liberamente tracciabile.
    Ed invece ad un certo punto perfino Ubuntu ha implementato questa schifezza a livello di filesystem per integrare il sistema con i loro servizi cloud. Che andrebbe pure bene se il contratto di connessione non fosse nominativo e il sistema tutto bucato. Perche’ permetterebbe di arrivare all’indicizzazione dei contenuti esplicitamente condivisi (es: IPFS) senza rischiare di tutto.
    In “Terms and conditions may apply” puoi osservare il caso di uno storyboarder americano che nell’atto di scrivere un episodio di una serie poliziesca ha cercato ‘come uccidere tua moglie’ e s’e’ ritrovato gli SWAT a casa 10 minuti piu’ tardi; e fortunatamente non gli e’ preso un infarto (io per molto meno non mi reggevo in piedi, mi sto ancora cagando addosso, e nel frattempo ho subito ogni tipo di angheria).
    Da noi e’ successo con un messaggio su Facebook “sterminare (i vostri bambini)” anziche’ “sverminare”. Ma questi altri (di psicopatici, quelli in divisa) in genere non si muovono se non ve ne e’ necessita’; cioe’ se non vengono mandati da qualcuno (vedi i casi di SWATting dei monelli che mandano la polizia a casa di chi gli sta antipatico).
    I servizi di indicizzazione (come le pagine bianche, gialle, etc) sono sempre stati sensibili. Occorre che tornino ad essere meri elenchi cercabili (ex: DMOZ), e che ci sia la possiblita’ di non comparirvi (come e’ sempre stato per le pagine bianche). Le regole sono tutte da riscrivere escludendo il marketing (in modo che rimanga solo quello passivo che c’era una volta); il discorso diventa difficile (costoso) per assicurazioni ed altro ma … ancora fattibile.
    Invece le persone continuano a fare finta di niente pur di continuare ad usare Facebook. E dopo Snowden, non so che altro ci possiamo inventare.

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