Circa la tassazione dei robot (e degli infobot). Una proposta

Tassare robot (e infobot): come ?

Ho aspettato che si posasse un po’ la polvere sulla proposta di Bill Gates di tassare i robot.

Penso che sia una provocazione. Come puoi definire “un robot” ?

Certamente l’idea e’ suggestiva, pensi a un “prima” e vedi un uomo e poi pensi a “dopo” e vedi un androide.

In questa trasformazione, ballano dei soldi di fisco che non ci sono piu’ ed allora dici – like for like – va tassato il robot.
Però non è così.

Immagina se al posto di due persone (che fanno lo stesso lavoro) ci va un robot.

Cosa fai ? tassi il doppio il robot ? Fai dipendere la tassazione dalla produttività ?

Ma se il robot lo fai lavorare meno perchè vendi meno, continui a tassarlo come due persone ?

Immagina se tre persone che lavorano su compiti in sequenza e li sostituisci – tutti e tre – con una macchina (magari senza aspetto umanoide) .
E’ un robot e lo tassi come una persona ? O come tre ?

E se fai delle macchine che fanno metà dei compiti di una persona e quindi da due persone scendi a una, ma con il doppio di produttività ?
Tassi anche gli strumenti che aumentano la produttività ?

E le macchine che ci sono adesso ? per inscatolare i pomodori, ad esempio. Sono un robot o no ?

Dove inizi a decidere come e quanto tassare ?

E se invece di un robot la macchina fa dei compiti cognitivi ripetitivi (es. controllare contratti) – quelli che io chiamo ‘infobot’ ?

Tassi SAP che genera il report, la stampante che scrive un testo o il sistema di analytics che ti visualizza dei dati ? (tutti lavori che fatti ‘a mano’ richiedono tante persone e tanto tempo-uomo).

 

 

Ma se la produzione di reddito si concentra nelle macchine, e quindi nel capitale che tali macchine acquista, comunque un tema di riequilibrio si pone. Che non può essere semplicemente la tassazione del capitale investito, perchè ciò deprimerebbe gli investimenti.

 

Circa il BEPS (Elusione fiscale)

BEPS sta per Base Erosion & Profit Shifting: erosione della base imponibile e spostamento di profitti.

Con la progressiva smaterializzazione dell’economia il valore si sposta sempre più dagli atomi alla componente immateriale.

A differenza degli atomi, la componente immateriale si sposta in tempo nullo e con costo nulla in qualunque parte del mondo. Basta un piccolo accordo contrattuale che disciplini lo spostamento.

Questo facilita lo spostamento di profitti verso paesi a fiscalità ridotta dove transitano ingentissimi capitali sottratti a tassazione.

Basti pensare ai 250 (circa ?) miliardi di dollari accumulati in depositi esteri da Apple, sottratti a tassazione.

Restano lì, in una novella Tortuga, ad accumularsi in attesa che cambi qualcosa per poterli riportare in un luogo dove li possano utilizzare. (leggi una sorta di “scudo fiscale” da parte del governo USA, in modo che Apple possa pagare meno tasse. D’altronde, non ha bisogno di quei soldi per lavorare, perchè portarli in USA e pagarci le tasse normali ? tienili li’ fintanto che non fanno gola al governo che sia disposto a farti uno sconto fiscale).

La parte materiale dei prodotti, basata su atomi, ‘gira’ per i paesi, con valori aggiunti formalmente risibili, facendo pochissimi profitti e quindi pagando pochissime tasse. Pensiamo ad Amazon che, sulle vendite di prodotti e servizi di logistica, non fa profitti.

La parte immateriale accumula il ‘vero’ valore aggiunto e viene spostata e parcheggiata come descrivevo sopra. Pensiamo ancora ad Amazon che fa profitti con AWS.

Le persone che operano la parte materiale di quei prodotti, che ne curano la distribuzione,  vedono una compressione dei servizi disponibili, dei valori aggiunti e dei  salari; le rendite dal capitale (investito in software), trasferite da una parte all’altra del mondo, con situazioni di monopolio/oligopolio, dove si concentrano i profitti.

 

Non è più “business as usual”

Questo non è, IMHO, ‘business as usual’.

Questo “unbundling del valore” dai beni e servizi in una dimensione immateriale (transfrontaliera, globale) che concentra profitti e che non segue detti prodotti e servizi, è sempre esistito, ma in una misura molto limitata e che non riguardava ogni aspetto dell’economia, come progressivamente sta accadendo. Sono pochi i settori dell’economia in cui ancora non si sta verificando una reinteremediazione online (iperconcentrata) di attività tradizionali (come spiego nel mio libro)

Per questo, il tema del riequilibrio della contribuzione fiscale nelle transazioni transfrontaliere, IMHO, si pone.

 

La mia proposta di legge sulla tassazione degli OTT

Due anni fa ho fatto questa proposta di legge.

Fu detto che “se non succede nulla in europa nel 2015, faremo un provvedimento in Italia nel 2016”. Però per adesso non è stato fatto, forse anche perchè il tribunale di Milano ha indagato i principali soggetti che fanno queste pratiche e raggiunto un patteggiamento.

Intanto giova ricordare che la proposta non è una nuova tassa, ma un recupero a tassazione di importi che vengono sottratti, sostanzialmente basata sul fatto che l’Italia, non essendovi tenuta, non ha incluso nei trattati internazionali che ha sottoscritto la disciplina sulle royalties del software. Certo, sarebbe una posizione unica e quindi sarebbe più auspicabile un ampio accordo globale, per chi vive in una comunità internazionale.

La proposta prevede un recupero a tassazione di importi misurati sui ricavi e non sui profitti.

E questo, a mio avviso, è un elemento qualificante.

In molti casi questi ricavi sono generati con costi variabili sostanzialmente nulli. Detratti gli investimenti, i ricavi sono una proxy dei profitti.

Allora perchè non riprendere a tassazione i ricavi generati con costi variabili sostanzialmente nulli, con una aliquota inferiore rispetto a quella sui profitti (escludendo gli investimenti) ?

Gli importi possono essere acquisiti direttamente dai pagamenti dei clienti, riducendo così il problema del BEPS, evitando di deprimere gli investimenti, usando una metrica non discutibile (come invece sarebbero robot ed infobot)

La mia PDL è una proposta che va in questa direzione.

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1 thought on “Circa la tassazione dei robot (e degli infobot). Una proposta”

  1. Mi sembravano argomenti scontati per chiunque si fermasse un attimo a ragionare su come si potesse definire un robot, ma parlando con varie persone di queste “news” mi ero reso conto di quanta poca razionalizzazione si faccia per validare proposte (o riconoscere le provocazioni dalle proposte).

    Se si vuole “contrastare” la sostituzione del lavoro umano con quello dei robot bisogna invertire la tassazione sul lavoro: se fai lavorare una persona ti riconosco un credito fiscale. Altrimenti questa persona sarebbe un costo per la società se volessi garantire un reddito minimo di “sopravvivenza”. E questo credito dovrebbe anche essere importante perchè deve controbilanciare tutta la burocrazia e gli oneri che ci sono nel caso di un dipendente e che non esistono nel caso dei robot.

    Altrimenti per quale motivo una azienda dovrebbe scegliere di assumere 5 dipendenti da, esempio 30.000€/anno di costo aziendale (dico 5 perchè una macchina lavora anche il weekend, anche la notte e non fa ferie..), se può comprare una macchina da 300.000€ che riesce a svolgere lo stesso compito e che in due anni si ripaga, che magari sbaglia meno, che non pone impegni a lungo termine, che probabilmente fra 5 anni cambierà con una ancora più economia ed efficiente senza doverla “licenziare”. Oggi sono relativamente pochi i lavori che possono essere sostituiti “in toto” ma nel giro di pochi anni, pochissimi anni, le cose sono destinate a cambiare notevolmente.

    E mi chiedo perchè di tutta questa “paura” che ci rubino il lavoro: a chi la paventa io chiedo se auspicherebbe un ritorno all’età della pietra o ad una qualunque epoca passata da più di 100 anni (è troppo facile pensare che 50 anni fa si stava meglio).

    Magari ci fossero robot che possono fare i lavori che nessuno di noi vuole fare. Non vedo dove è la fila di chi si lamenta che ci sono robot che vanno a togliere le mine dai campi.

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