Perchè la webtax non si riversa sui consumatori

Da secoli sappiamo che se si aumentano le tasse, aumentano i prezzi.

Ma la webtax si applica a beni immateriali che, come spiego nel mio libro, hanno proprietà di base diverse dai beni materiali. Certo, non è così in tutti tutti tutti i casi, ma per il grosso, si.

Produrre costa, ma molto meno dei beni materiali. Riprodurre, immagazzinare, trasferire beni immateriali ha un costo marginale nullo.

Se io considero l’impianto di produzione com un investimento affondato, il costo variabile di ogni unità di servizio in più è sostanzialmente zero. Ogni unità di ricavo in più è sostanzialmente margine (cosa che giustifica una tassa sui ricavi, certamente inferiore ad una tassa sui profitti, in modo tale da non deprimere gli investimenti).

Si potrebbe argomentare che una cosa simile avviene in altri ssettori, come ad esempio le tlc, dove però c’è una disponibilità di quantità di prodotto limitata e da quel prodotto devo recuperare gli ingentissimi investimenti per cui di fatto l’unità di prodotto non ha un costo nullo, in quanto l’investimento deve essere recuperato. Qui però gl iinvestimenti sono ordini di grandezza inferiori ed il sistema non ha una quantità di prodotto limitato, per cui è lineare considerare l’investimento come affondato e quindi il costo variabile nullo.

Infatti, è proprio il fatto che una unità di servizio ha un costo nullo, a giustificare ampiamente il fatto che il prezzo sia totalmente fatto dal cliente. E’ il cliente che decide cosa pagare una esposizione di una pubblicità. Più precisamente , è un’asta tra i clienti. (chi vince paga il prezzo proposto dal primo dei perdenti, come si usava fare secoli or sono nella vendita dei francobolli)

Ma, se io cliente sono disposto a spendere X per quella pubblicità, offrirò X

E non mi interessa se quell’X finirà tutto a profitto del fornitore o se il fornitore dovrà dare una parte x all’erario, ottenendo profitti per X-x.

In sintesi, nelle condizioni sopra, il prelievo fiscale non si riporta sul consumatore per effetto del costo marginale nullo e  della sostanziale illimitatezza dell’offerta, che sono condizioni che prima non si riscontravano, se non i settori assai assai assai meno rilevanti dell’economia, tali da non meritare attenzione.

La mia conclusione è che cambia la maniera di produrre valore e pertanto è opportuno cambiare modlaità fiscali.

D’altronde, se penso alla complessità che abbiamo messo in piedi per misurare i profitti (ricavi meno costi) e far pagare le tasse sui profitti (contabilità, revisori, ecc.) una proposta di cambiamento come quella che presentai qualche anno fa, mi sembra una grande opera di semplificazione (che, en passant, indirizza anche il tema BEPS..)

 

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3 thoughts on “Perchè la webtax non si riversa sui consumatori”

  1. Stefano Quintarelli

    proprio oggi ne discutevo con un professore, ex ministro, che non era dello stesso avviso.

    riconoscerai che come argomento “non va bene perche’ non va bene” non è molto forte….

    BTW, ricordo che la regola della casa è che sul mio blog non ospito commenti anonimi, di insulti, di partiti politici.. solo commenti nel merito…

  2. Massimiliano Atzori

    Ciao Stefano, non ho capito bene il ragionamento. I beni digitali, al pari di quelli fisici, hanno dei costi di produzione e dei margini di profitto che le aziende si aspettano di ricavare dalla loro vendita; inoltre, sebbene immateriali, non possono essere venduti all’infinito, perchè esiste un mercato. Se aumenta il prelievo fiscale, le aziende possono vedere diminuire i loro profitti o cercare di correre ai ripari. In quest’ultimo caso, possono agire sui costi, sul mercato (nuovi clienti) o sul prezzo. Escludere che venga attuata o fortemente limitata quest’ultima opzione perché i beni digitali sono immateriali, e quindi presumere che si possa sempre allargare il mercato perchè la produzione di nuove unità sarebbe a costo marginale nullo o quasi, mi sembra un azzardo: se così fosse, allo stato attuale, le aziende dovrebbero avere dei clienti ai quali non stanno vendendo i loro beni, e che possano quindi recuperare il costo del prelievo fiscale andando a prenderseli a costo zero o quasi per l’immaterialità di ciò che vendono. C’è qualcosa che mi sfugge?

  3. Stefano Quintarelli

    il nocciolo è che il costo di produzione è sostanzialmente fisso, indipendente dalla quantità di bene prodotto.
    il costo marginale è nullo (certo, devo fare gli investimenti dell’impianto, ma una volta ripagati o writeoffati, il costo è sostanzialmente nullo) non c’e’ un consumo di risorse.

    altro punto: nella rete del gas da una parte entra il gas e dall’altra esce. c’e’ una risorsa che si consuma che ha un costo di produzione (estrazione e trasmissione). in una rete di tlc non si consuma nulla. sono solo perturbazioni su una portante che e’ gia’ li.

    ma le perturbazioni sono in quantità limitata per ragioni fisiche. gli investimenti di realizzazione degli impianti (le reti, costosissime) devono essere allocate con qualche criterio ai clienti; si usarono gli scatti, adesso i canoni fissi (col diminuire dei costi degli impianti, mantenere l’accounting e billing variabile costa più dei benefici).

    nei servizi online ci sono due diufferenze: i costi di impianto sono assai assai inferiori e non (con buona approssimazione) c’è un limite fisico alla quantità di prodotto.

    queste sono le ragioni che abilitano un pricing che non è più cost plus ma value based, tramite le aste. nell’asta il prezzo è fissato dal cliente.

    indubbiamente, pagando tasse, le aziende vedranno ridursi i profitti, ma dato che il modello di business è basato sulle aste, non possono stabilire un aumento dei prezzi perchè non sono le aziende a fare il prezzo!

    in linea teorica potrebbe accadere che, per il fatto di dover pagare le tasse, le aziende cambino modello di business, abbandonino il pricing fatto dalla domanda con le aste e fissino loro i prezzi, aumentandoli.

    questa non è una reazione possibile per vari motivi, da questioni legate all’infrastruttura, alle interdipendenze della rete del valore e soprattutto dal mercato in quanto fintanto che qualcuno fa prezzi con un modello value based tramite aste, quello setterà il prezzo.

    in un mercato tradizionalmente cost-plus con precing fatto dall’offerta (tipo la pubblicità sui giornali), arriva un player che passa al value based con aste quindi prezzi fatti dalla domanda. E’ vincente e i clienti sis spostano. A questo punto partono altri con lo stesso modello ed il mercato è cambiato. (che il mercato vada verso le aste partendo dai prezzi di listino è possibile).

    Adesso uno degli operatori che volesse tornare indietro e fare un listino perderebbe mercato a vantaggio da chi rimane con il modello basato sulle aste, preferito dai clienti.

    Per tornare da un mercato basato su aste ad un mercato basato su listini, per poter alzare i prezzi, dovrebbero tornare indietrro contemporanemante tutti i player del mercato (collusione, che è illegale e, manifestatasi, li costringerebbe a tornare indietro con in più una mega multa). Per questo non può accadere.

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