Stranieri digitali: “ebay, casa d’aste in Milano”

con questo post inauguro la serie di post “stranieri digitali” in cui riferiro’ le stranezze non dei nativi digitali, non degli immigranti digitali, ma di chi e’ proprio straniero. (thx Enzo)

ADUC Tlc – News – Internet. Cassazione: anche per i negozi virtuali occorre la licenza dal comune.

La licenza di commercio rilasciata dal comune non puo’ mancare nemmeno nei negozi virtuali in Internet.
La vendita di prodotti on line segue le stesse regole di quella “dal vivo”. E il proprietario della vetrina telematica deve essere autorizzato dall’amministrazione del comune di residenza proprio come se aprisse un negozio “fronte strada”. Anche se la merce viene offerta agli internauti da una società regolarmente registrata alla Camera di commercio. Altrimenti la sanzione amministrativa della polizia municipale non la toglie nessuno.
Nemmeno la Cassazione che infatti ha confermato la sentenza del giudice di pace di Vallo della Lucania, un comune del cilento a sud di Salerno, che a sua volta aveva respinto il ricorso del titolare di un sito web al quale è stata notificata un’ingiunzione di pagamento perche’‚ attraverso la vetrina telematica era possibile acquistare prodotti tipici locali confezionati dalla società del figlio del proprietario del dominio Internet.
La Cassazione ha anche confermato che la multa deve pagarla il proprietario del sito anche se i prodotti reclamizzati on line non sono suoi. Ció che conta infatti, in nome della legge sul commercio, è la proprietà del negozio. Tradizionale o virtuale non ha alcuna importanza. La sentenza 12355 della seconda sezione civile della Suprema Corte ha stabilito che il titolare del punto vendita on line “è obbligato a comunicare preventivamente l’avvio dell’attività all’amministrazione competente” che dovrà “verificare il possesso dei requisiti previsti dalla disciplina del commercio”. Insomma, tra la piazza telematica e la piazza del paese c’è sempre meno differenza.

premetto che non ho letto la sentenza, e potrei prendere una cantonata. pero’ a prima vista mi pare una “stranierata”.

non ci si puo’ accontentare delle fatture, dell’IVA, delle tasse come qualunque commerciante che compra e vende dal suo ufficio ?

come la mettiamo con un servizio che ha sede in un paese comunitario e vende in Italia ? lo banniamo ?
perche’ se non lo banniamo, allora per i nostri esercenti sara’ sufficiente fare  l’hosting in Lussemburgo o in Irlanda…

o conta chi registra il dominio ?
eBay deve avere una licenza comunale come “casa d’aste” ?

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8 thoughts on “Stranieri digitali: “ebay, casa d’aste in Milano””

  1. non sono sicuro che sia una “stranierata”, forse si, forse no, dipende dal punto di vista da cui la guardi:
    se si pensa che su internet dovrebbero esistere regole (almeno) un po’ diverse in virtu’ delle differenze che ha la rete allora lo e’ (una sentenza “sbagliata”)
    se invece si pensa che nella rete debbano esistere le stesse regole della societa’ offline allora e’ una sentenza corrette.
    Semmai dovrebbe essere cambiata la legge che impone di richiedere millemila autorizzazioni e procedure burocratiche per aprire un negozietto perche’ *qualunque commerciante che compra e vende dal suo ufficio* deve comunque seguirle tutte, ad esempio il fatto di dover comunicare preventivamente l’avvio delle attivita’ al comune.
    Per le imprese straniere non vedo alcun rischio perche quello che conta e’ la *sede* dell’azienda (o la residenza del titolare) e non dove ha i server.

  2. devi seguire tutte le norme, ovviamente, sia dal tuo ufficio che in rete, questo e’ ovvio.
    il punto qui e’ se una norma presente in un contesto ed assente in un altro sia applicabile o meno sul web (a quale dei due contesti va assimilato).
    non hai bisogno di una licenza commerciale per fare commercio dal tuo ufficio. (senno’ qualunque azienda di informatica dovrebbe avere una licenza per poter rivendere computer o stampanti)
    la motivazione delle licenze e’ per gestire l’affollamento, dei punti vendita ad esempio per non avere troppi panettieri, bar, ristoranti vicini tra loro cosa che, online, ovviamente non ha senso.
    «L’esercizio del commercio, nello stesso comune e nella stessa zona, della medesima attività costituente oggetto di una autorizzazione al commercio assentita a terzi, costituisce in capo al relativo titolare una posizione di interesse individualmente qualificabile, la cui tutela si esplica anche con l’impugnazione della nuova autorizzazione rilasciata» (Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 1993, n. 231, in Foro amm., 1993, 409).

  3. vincenzo vicedomini

    Concordo con Stefano. Ma guardando oltre la sentenza, effettivamente, tutti i negozi online dovrebbero avere tale licenza e per giunta la dovrebbero esporre sul sito come fanno con la partita iva.
    Il discorso avrebbe avuto più senso se si parlava di autorizzazioni sanitarie in virtù della vendita di prodotti alimentari. (Ma molto relativamente, visto che contatti col pubblico non ce ne sono)

  4. vincenzo vicedomini

    piccola riflessione : non è che sia stato il concetto di “vetrina” la motivazione di una tale sentenza ?

  5. Caro Stefano,
    La sentenza si limita ad applicare uno dei decreti Bersani risalenti al 1998, per il quale basta una semplice comunicazione al comune di appartenenza della ditta per poter esercitare.
    E’ tecnicamente sbagliato parlare di “licenze” o “autorizzazioni”, che prevedono un intervento dell’amministrazione sul cittadino. La “comunicazione” e’ semplicemente quello che dice la parola. Una “comunicazione”. Appunto.
    Andrea Monti

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