Prosciolto provider di sito a luci rosse

Questo mi pare possa essere serio…
A prima vista potrebbe sembrare una cosa positiva, ma quest'ultimo passaggio mi inquieta.

Gli amici avvocati cosa ne pensano ?

Prosciolto provider di sito a luci rosse – Corriere della Sera.

Nel provvedimento il gup ribadisce comunque la responsabilità di un provider che venuto a conoscenza dell'illecità attività svolta nel sito internet «non rimuove o disabilita l'accesso alle pagine web».

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9 thoughts on “Prosciolto provider di sito a luci rosse”

  1. Art. 16 del D.Lgs. 70/2003 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni – Hosting)
    1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, A CONDIZIONE CHE (ndr. lo riporto in maiuscolo!) detto prestatore:
    – non sia EFFETTIVAMENTE A CONOSCENZA (ndr. per i penalisti: elemento della colpevolezza) del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono MANIFESTA (ndr. id quod plerumque accidit) l’illiceità dell’attività o dell’informazione;
    – non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso (ndr. omissione: art.40 c.p.).
    (omissis)
    Art. 17 del D.Lgs. 70/200 (Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza)
    1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.
    2. FATTE SALVE LE DISPOSIZIONI DI CUI (ndn. maiuscolo!) agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore è comunque tenuto:
    – ad informare senza indugio l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell’informazione (ndr. omissione: art.40 c.p.);
    – a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite (ndr. concorso nel reato: art.110 c.p.).
    3. Il prestatore è CIVILMENTE (ndr. maiuscolo!) responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l’accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l’accesso, non ha provveduto ad informarne l’autorità competente.
    P.S. Non si scrive “illecità” ma “illiceità”.

  2. Non ho letto la decisione del giudice, per cui mi baso esclusivamente sull’articolo del giornale. Non si tratta di decisione che fa discutere, anzi conferma l’orientamento giurisprudenziale sul tema, basato sull’art. 16 del decreto legislativo del 9 aprile 2003, n. 70, attraverso il quale è stata recepita in Italia la direttiva Europea 31/2000/CE sul commercio elettronico. La norma si occupa, appunto, della prestazione di servizi di hosting, prevedendo una generale esenzione di responsabilità tranne nel caso in cui il fornitore risulti effettivamente a conoscenza del fatto che l’utente utilizzi il servizio per scopi illeciti, nonché, ai fini della responsabilità civile dell’intermediario, se questi è informato di fatti o circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione. L’esenzione da responsabilità, inoltre, non si applica se l’intermediario, essendo venuto a conoscenza dell’uso illecito del servizio, su espressa comunicazione delle autorità competenti, non si attivi per rimuovere le informazioni illecite o per disabilitarne l’accesso. L’esenzione di responsabilità cade, infine, qualora il destinatario del servizio agisca sotto l’autorità o il controllo del prestatore, come nel caso dei content providers, venendo meno la neutralità di quest’ultimo rispetto al contenuto.
    Possiamo dire che la normativa prevede una generale non responsabilità dei provider, per cui i responsabili dei contenuti immessi sui loro server sono esclusivamente i soggetti che tali contenuti li hanno effettivamente immessi, quindi il responsabile o titolare del sito, e non il provider. Tutto ciò è assolutamente pacifico, ed è basato sulla pronuncia della Cassazione del 2000, sentenza n. 4741, che ha affermato la non responsabilità del gestore del sito e del provider per i contenuti dei messaggi trasmessi, cioè che non esiste un obbligo di controllo (previsto invece per i mezzi di comunicazione come giornali o TV a carico del direttore responsabile), a meno che non siano direttamente coinvolti nel (o a conoscenza del) fatto illecito.
    Questo tipo di regolamentazione ha un suo scopo precipuo, cioè favorire lo sviluppo della rete.
    Niente di nuovo quindi nel ritenere non responsabile dei contenuti di un sito il provider, se non esiste prova della conoscenza dei contenuti suddetti.
    Nell’articolo però c’è scritto: “Inoltre non è emerso alcun profitto economico del provider legato all’attività illecita del sito internet”. Non so se è frase del giudice o dell’articolista, ma la normativa sopra citata non prevede la possibilità di considerare responsabile dei contenuti del sito anche il provider nel caso questi ci guadagni qualcosa. L’attività di provider è una attività economica, e sarebbe senza senso vedere proprio nel guadagno un motivo di corresponsabilità. Non è una questione di poco conto. Pensiamo al provider, servizio di hosting, che inserisce automaticamente dei banner pubblicitari su tutti o solo alcuni dei siti ospitati. In assenza di controlli sul contenuto dei siti, controllo che non è previsto dalla legge, si potrebbe vederlo responsabile dei contenuti illeciti solo perché “trae profitto economico” dall’attività del sito, fors’anche illecita. Questo non è quanto dice la legge, a mio modesto modo di vedere.
    La legge prevede una responsabilità del provider solo in presenza della prova della conoscenza dei contenuti e non in altri casi.

  3. Beh, se uno, su espressa comunicazione delle autorità competenti, non blocca/rimuove, se l’e’ cercata.
    Pero’ bisogna che ci sia tale comunicazione. Il provider non puo’ mettersi a fare il giudice.
    La cosa che a me piace poco e’ che la vulgata vuole che “queste cose succedono solo in italia”, che “siamo in un regime che vuole controllare le persone”, ecc.
    in realta’ norme e decisioni di giudici che sono “illogiche” per i coloni e nativi digitali, ne avvengono dovunque e in gran numero.
    in USA e’ persino nata una organizzazione apposta che censisce stabilmente le iniziative di legge che avrebbero effetti terribili su Internet, in tutti gli stati dell’unione.

  4. @Bruno Saetta: Concordo su tutto tranne che su una cosa.
    Quando affermi:
    (inizio virgolette)
    Nell’articolo però c’è scritto: “Inoltre non è emerso alcun profitto economico del provider legato all’attività illecita del sito internet”. Non so se è frase del giudice o dell’articolista, ma la normativa sopra citata non prevede la possibilità di considerare responsabile dei contenuti del sito anche il provider nel caso questi ci guadagni qualcosa. L’attività di provider è una attività economica, e sarebbe senza senso vedere proprio nel guadagno un motivo di corresponsabilità. Non è una questione di poco conto. Pensiamo al provider, servizio di hosting, che inserisce automaticamente dei banner pubblicitari su tutti o solo alcuni dei siti ospitati. In assenza di controlli sul contenuto dei siti, controllo che non è previsto dalla legge, si potrebbe vederlo responsabile dei contenuti illeciti solo perché “trae profitto economico” dall’attività del sito, fors’anche illecita. Questo non è quanto dice la legge, a mio modesto modo di vedere.
    La legge prevede una responsabilità del provider solo in presenza della prova della conoscenza dei contenuti e non in altri casi.
    (fine virgolette)
    tocchi un punto particolarmente delicato (che in Italia è stato solo sfiorato dalla giurisprudenza e discusso prevalentemente solo in dottrina). Personalmente ritengo che se un provider si avvantaggia (direttamente o indirettamente) tramite contenuti o anche solo banners che incitano all’odio razziale sia pienamente responsabile del materiale (anche pubblicitario ed occasionale) che viene visualizzato dal suo sistema (qualora si accorga, dal numero di clicks, che quel materiale viene visualizzato da diversi visitatori). Ci vuole etica anche nella scelta degli inserzionisti.

  5. @Eurolegal: non ho ben capito la questione dei banner che incitano all’odio razziale.
    Io mi riferivo a banner che un provider pone, automaticamente, sui siti ospitati dai suoi server (accade spesso con gli hosting gratuiti).
    Ritenere responsabile il provider perchè pone suoi banner (con contenuto lecito) su un sito a contenuto illecito mi sembra assurdo, anche se se ne avvantaggia economicamente (se qualcuno clicca sui banner).
    E’ pacifico, invece, che un provider è sempre responsabile del contenuto dei suoi banner, su questo non ci piove, ma è un caso completamente diverso rispetto alla responsabilità per il contenuto del sito.

  6. @Bruno Saetta: Se il provider pone suoi banners, che gli producono un profitto (diretto od indiretto), su un sito a contenuto illecito 1) se è a conoscenza del contenuto illecito del sito diventa correo nel reato (prima ipotesi dell’art.16 del D.Lgs.70/2003); 2) se non ne è a conoscenza (cosa alquanto rara – e che personalmente poco mi convince – perchè i banners vengono monitorati dagli ISPs con tecniche SEO e SEM) non sarebbe responsabile penalmente (ma potrebbe ravvisarsi una colpa omissiva rilevante, in caso di danno verso terzi, ai fini della responsabilità civile).
    Se poi è il provider a porre suoi banners (id est: banners di suoi inserzionisti), che gli producono un profitto (diretto od indiretto), a contenuto illecito su un sito a contenuto lecito (e questo è il caso a cui mi riferivo nel mio precedente post) a mio avviso, oltre che eticamente censurabile, è anche pienamente responsabile sia penalmente che civilmente (sotto quest’ultimo profilo sia a titolo contrattuale che a titolo extracontrattuale) del fatto illecito e dannoso. L’elemento della colpevolezza lo ravviserei nella consapevolezza di accettare come inserzionista un delinquente che propone pubblicità malsana.

  7. solo per ipotesi… se io da provider supponessi che un contenuto distribuito da un mio cliente e’ illecito, e di conseguenza bloccassi tecnicamente la distribuzione di tale contenuto, potrei addirittura trovarmi in una situazione in cui il cliente mi chiede i danni!!! E il giudice che scrive questa roba pretende che io, provider, giudichi cosa e’ illecito e cosa no???
    Bello, da una parte rischio una causa da parte del cliente, dall’altra rischio provvedimenti del giudice incazzato che dice che io sapevo che il mio cliente faceva cose illecite e non ho agito…

  8. @Eurolegal: per i banners del provider (intesi sia come banners che pubblicizzano il provider, sia banner di pubblicità raccolte dal provider) risponde sempre il provider.
    @Andrea Galli: il punto fondamentale, che spesso si dimentica, è proprio quello. Qualora l’ISP venga a conoscenza del contenuto illecito, o direttamente o indirettamente, tramite terzi, di un sito hostato, non ha l’autorità di eliminare qualcosa che, dal punto di vista del diritto di proprietà, non gli appartiene, visto che il contratto di hosting (o di altro tipo di servizio) tutela la proprietà intellettuale dell’utente finale, per cui non è così semplice che l’ISP cancelli il contenuto illecito.
    Inoltre, chi deve stabilire che quel contenuto è illecito ? Lasciare tale facoltà all’ISP significherebbe dare loro un potere enorme di censura, nonché un potere inquirente che non gli compete.
    Ed è per questo che le associazioni di ISP (assoprovider) contestano le recenti proposte di legge che vogliono trasformare gli ISP in “sceriffi” del web.
    Infatti nell’ipotesi di cui all’art. 16 si richiede l’effettiva conoscenza della presenza di contenuti illeciti, e la corresponsabilità si ha se la richiesta di rimozione viene dell’autorità giudiziaria.
    Certo, ci sono alcuni casi in cui l’illiceità è manifesta, come ad esempio il caso della pedopornografia. In quel caso nessun giudice darebbe ragione all’isp.

  9. La questione della pubblicità illecita che ho sollevato nel precedente post è emersa in tutta la sua pregnanza nelle conclusioni dell’Avvocato generale presso la Corte di Giustizia UE nelle cause riunite C-236/08, C-237/08 e C-238/08 (tutte contro Google France per presunta violazione della direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa e del regolamento sul marchio comunitario). Le vertenze trovano origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de Cassation francese sull’eventuale illiceità del servizio di posizionamento a
    pagamento che mette a disposizione degli inserzionisti di Google parole chiave che riproducono o imitano marchi registrati.
    Pur escludendo l’illiceità del detto servizio di posizionamento a pagamento, l’Avvocato generale, con riferimento alla presunta neutralità del sistema AdWords di Google, dice:
    (inizio virgolette)
    124. Nel contesto di un’eventuale responsabilità si può tenere conto di aspetti particolari del ruolo della Google – quale la procedura con cui essa consente agli inserzionisti di selezionare parole chiave nell’AdWords. Ad
    esempio, la Google fornisce agli inserzionisti informazioni opzionali che possono aiutarli a massimizzare l’esposizione dei loro annunci. Come hanno rilevato alcune delle parti, può accadere che le informazioni sulle parole
    chiave che coincidono con marchi di impresa includano anche – in quanto parole chiave correlate – informazioni sulle espressioni che denotano una contraffazione. In base a tali informazioni, gli inserzionisti possono decidere di selezionare tali espressioni quali parole chiave al fine di
    attirare gli utenti di Internet. Può accadere che, in tal modo, la Google contribuisca ad indirizzare gli utenti di Internet verso siti contraffatti.
    125. In tale situazione, la Google può incorrere in una responsabilità per avere contribuito a una violazione di marchio. Anche se si tratta di un
    processo automatico, nulla impedisce alla Google di escludere dalle informazioni fornite agli inserzionisti solo quelle relative alle associazioni con espressioni che denotano chiaramente una contraffazione. Le condizioni in cui potrebbe sorgere la responsabilità della Google, tuttavia, costituiscono una questione che deve essere risolta in base al diritto nazionale. Esse non sono previste dalla direttiva 89/104 né dal regolamento n. 40/94 e, pertanto, esulano dall’ambito delle presenti cause.
    (fine virgolette)
    e ancora:
    (inizio virgolette)
    145. Ciò non vale per il contenuto presentato nell’AdWords. La visualizzazione da parte della Google di annunci discende dal suo rapporto con gli inserzionisti. Di conseguenza, l’AdWords non è più un veicolo neutro di informazioni: la Google ha un interesse diretto a che gli utenti di Internet selezionino i collegamenti degli annunci pubblicitari (a differenza di quanto accade per i risultati naturali presentati dal motore di ricerca).
    146. Pertanto, l’esenzione di responsabilità per gli host di cui all’art. 14 della direttiva 2000/31 non va applicata al contenuto presentato nell’AdWords. La questione se sussista tale responsabilità deve essere risolta, come si è rilevato, in primo luogo in base alla legge nazionale.
    (fine virgolette)
    Qui è possibile leggerle per esteso:
    http://curia.europa.eu/jurisp/cgi-bin/form.pl?lang=IT&Submit=rechercher&numaff=
    (cliccando su C-236/08, C-237/08 e C-239/08).
    Mi farebbe piacere se Quintarelli potesse discuterne con gli altri autorevoli relatori all’evento
    Dove comincia la mia libertà?
    Contenuti on line e responsabilità degli ISP
    Milano 24 settembre 2009 – ore 18:00
    Istituto Bruno Leoni
    piazza Castello 23
    Milano
    e successivamente riassumere le posizioni emerse dal dibattito nel suo blog.

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