Il web 2.0 alla prova della regolamentazione: l’acqua diventa vino

Ho una mezza idea che mi frulla in testa che vorrei condividere, per leggere (auspicabilmente) molte opinioni._

In origine era il web non scrivibile dagli utenti.

Chi scriveva stava da una parte, chi fruiva stava dall'altra. Capire chi aveva responsabilita' editoriale era ovvio. Chi scriveva aveva naturalmente tutti i diritti relativamente agli scritti dei propri collaboratori (a pagamento come dipendenti e collaboratori occasionali o gratis con le lettere al direttore), chi leggeva ne aveva alcuni (stampare, fare una copia personale ed altri eventualmente concessigli dal titolare). Chi scriveva, generalmente, commerciava con i propri diritti.

L'intermediario della comunicazione, senza responsabilita', era ovvio; se l'informazione e' una pallina, il mere conduit e' il tubo dentro cui rotola, l'hosting e' il tavolo su cui sta, il caching il piano inclinato su cui scivola.

Si e' posto il problema dei forum. C'e' voluta una sentenza per stabilire che era hosting, funzione erogata da una piattaforma, con conseguente esenzione di responsabilita' se il fornitore esercitava una mera funzione tecnica: i contenuti per lui sono solo bytes. La eventuale monetizzazione (diretta o indiretta) era degli utenti (eyeballs) attratti dalla piattaforma, non monetizzazione dei bytes.

Poi e' arrivato il "web scrivibile" (aka 2.0), sono fioriti i social network per sfruttare effetto rete e monetizzare gli utenti, in alcuni casi sono stati inseriti dei lockin per evitare che gli utenti abbandonassero.

Le normative hanno stabilito che un utente puo' chiedere la cancellazione dei propri dati personali. Una piattaforma deve eseguire. Un editore, invece, no. Posso chiedere al social network di cancellare dati che mi riguardano ma non all'editore di quotidiano di cancellare articoli che mi riguardano. E' il suo lavoro, ci lucra su, ha degli obblighi e privilegi diversi.

A un certo punto l'acqua si e' tramutata in vino.

Quelli che per le piattaforme erano byte, adesso sono diventati contenuti, gli operatori hanno detto agli utenti "io ho i diritti su cio' che metti su". Hanno cominciato a dire agli utenti "sui contenuti non puoi fare questo, non puoi fare quello, mentre io posso fare questo, quello e magari anche di piu'" e hanno anche cominciato a lucrare sui contenuti, non a monetizzare gli eyeballs della piattaforma.

L'intento del legislatore, quando definiva esenzioni per mere conduit, hosting e caching, pensava a questa situazione ? In cui chi poggia le palline sul tavolo cede le palline al proprietario del tavolo che se le rivende ? O pensava a chi monetizzava il tavolo su cui le palline erano posate ?

Quale e' la differenza tra un editore, che ha i suoi obblighi ed i suoi privilegi, che acquisice i suoi contenuti (gratis o a remunerandoli) e li monetizza, ed una "piattaforma 2.0" che acquisisce i suoi contenuti (generalmente gratis, talvolta addirittura remunerandoli) e li monetizza ?

Per dire che non si e' editori con relativi obblighi e privilegi, e' sufficiente il fatto che nella monetizzazione, in un caso, generalmente ci sia chi opera una selezione dei contenuti da monetizzare e nell'altro caso la monetizzazione sia su tutti i contenuti ?

(ma, ad esempio, su Secondamano una selezione non c'e').

E' questo che aveva in mente il legislatore o invece questo e' una evoluzione dell'editoria ?

E, soprattutto, e' una riflessione sensata e rilevante ? 😉

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20 thoughts on “Il web 2.0 alla prova della regolamentazione: l’acqua diventa vino”

  1. “Posso chiedere al social network di cancellare dati che mi
    riguardano ma non all’editore di quotidiano di cancellare articoli che mi
    riguardano.”[…]”Quale e’ la differenza tra un editore, che ha i suoi obblighi ed i suoi
    privilegi, che acquisice i suoi contenuti (gratis o a remunerandoli) e li
    monetizza, ed una “piattaforma 2.0″ che acquisisce i suoi contenuti
    (generalmente gratis, talvolta addirittura remunerandoli) e li monetizza ?”
    Sinceramente non ho capito il tuo discorso. Se io mi iscrivo a facebook (o alle pagine gialle, per dire), posso cancellarei miei dati perchè sono dati che ho scritto io. Se invece finisco nella cronacanera o giudiziaria, Repubblica ha diritto a scrivere di me e ovviamente io non posso chiederne la cancellazione. Sono 2 cose completamente diverse e non paragonabili. Immagina se ognuno avesse il diritto di cancellare ciò che non gradisce sulla stampa e sulle enciclopedie!

  2. Stefano, sei sicuro che nel c.d. “web 1.0” il flusso fosse monodirezionale? Ho cominciato, come te, a lavorare con Internet nel 1994 e cose come le “home directory” degli utenti (nomeserver.tld/~username) prima e fenomeni come geocities poi sono di quegli anni. Senza contare mailing list e Usenet che esistevano da ben prima del www (gopher anyone?).
    Anzi, quel che si diceva in illo tempore era che tutti potevano “pubblicare”.
    Secondo me assistiamo, ben 15 anni dopo, al fatto che anche politici e legislatori si accorgono del fenomeno (benvenuti!). Mi ricordo che quando ho lasciato il posto in cui lavoravo per andare da un ISP (fine 1994) il mio boss quando gli ho descritto Internet ci pensa su e fa “Un’altra delle vostre diavolerie di voi modemisti!” (lui sapeva della FidoNet perche’ molte soluzioni tecniche che gli portavo venivano da li’).

  3. La diffrenza principale, imho, è che gli editori sono proprietari di ciò che scrivono (per averlo scritto o comprato lo scritto) e pertanto non sono tenuti a rimuovere articoli su terzi.
    Mentre sulle piattaforme 2.0 io sono proprietario del mio contenuto, quindi è giusto che possa rimuoverli.
    Come dire, non posso impedirti di parlare di me (ci mancherebbe!), ma quello che scrivo io lo gestisco io.
    I ruoli sono ben diversi, entrambi proprietari, se vogliamo. E chi possiede, decide.
    Diverso il ruolo dei proprietari delle piattaforme… vogliono forse la botte piena e moglie ubriaca? Vogliono monetizzare ed allo stesso tempo non pagare gli oneri di esser editori?
    La questione è delicata… da un lato utenti “intelligenti” dovrebbero non permettere questa cosa. Basterebbe rimuovere i propri contenuti, ed evitar di pubblicarli dove le politiche sono troppo pro gestore. Ma ho poca fiducia in questo.
    Non conosco la normativa, quindi non saprei. Ma a busso e spanna, se qualcuno ci fa sopra soldi sui miei contenuti vorrei che me li pagasse. Poco, ma che paghi. Il punto è che mi sta anche offrendo un servizio “gratuito”. O forse pagato molto caro da me utente.
    Se una gestore acquista contenuti potrebbe esser considerato editore a tutti gli effetti.
    se è gratis, magari no. Ma i suoi privilegi sugli stessi devono esser limitati, almeno alla pari con chi li pubblica.
    Le pagine “personali” di cui si parla sopra sono cosa leggermente diverse… erano pagine interamente dell’utente, non contenuti affogati in una piattaforma di terzi. La differenza c’è eccome.
    just my 2c

  4. Io so solo una cosa, già tra “esperti” non si trova mai una sola verità, in quanto poi ognuno alla fine tira l’acqua al suo mulino, perché allora pretendere che un giudice riesca ad avere la summa di tutte le competenze per emettere la sentenza assoluta?
    Siamo in pieno caos, e ci vorranno anni, forse decenni, per trovare il bandolo della matassa.

  5. @Hamlet: in base alle norme sulla privacy, io posso chidere a un social network di cancellare anche cose che mi riguardano anche se le hanno scritte altri. Ovviamente cosi’ non e’ per un editore, che ha il privilegi odi non cancellarle e lucrarci, ma ha anche altri obblighi (rettifica, responsabilita editoriale..)
    @Luigi… parli di 0.9… per “1.0” si intende quello prima del “web scrivibile”, in genere. la normativa sull’esenzione di responsabilia’ si riferisce a quel tipo di interazione utente-fornitore. a cio’ mi riferisco.
    @facebook: per acquisire non occorre pagare in moneta.. la transazione e’ un contratto, comunque.
    @Roberto… potremmo andare indietro, ma il tema era che allora cercavano di fare soldi mettendo le pubblicita’ sulle piattaforme, non vendendo i contenuti. cosa ben diversa.
    @CdV. non direi caos, i processi servono appositamente a costituire le prove e deliberare, sentendo anche periti esperti

  6. Io la vedo invece più semplice. Se editi in qualsiasi modo i contenuti (anche con procedure automatiche) sei un editore e come tale devi essere trattato in ciascun paese con le leggi di quel paese.
    L’unico trattamento dei contenuti che può essere neutro e non fare decadere l’attributo di mere conduit è quello imposto dalla legge (nazionale e/o internazionale).
    La vera unica grande difficoltà è quella di far capire ai parlamenti (o analoghe istituzioni legislative) di tutto il mondo che non possono più fare leggi senza tenere conto che le frontiere telematiche non esistono (a meno di non abolire la commutazione di pacchetto 😉 )

  7. Bella riflessione!
    A me sembra una evoluzione di entrambi, anzi una loro integrazione facilitata dalle nuove tecnologie. Il problema, a mio avviso, è che gli Operatori 2.0, nei quali lavorano “umani” che una volta gestivano “semplici” forum, non hanno nemmeno loro chiara la differenza fra le diverse funzionalità di una piattaforma 2.0 e creano dei ToS che confondono ulteriormente le idee.
    ***
    Supponiamo che un giornale abbia un forum (stile 1.0, per intenderci) dove gli utenti pubblicano i loro interventi. Ora supponiamo che la rubrica cartacea “Lettere al Direttore” contenga una selezione di tale lettere.
    Passano gli anni, il giornale cartaceo diventa sono online, poi si semplifica ancora e diventa una serie di pagine integrate con il forum, che si chiamano “home page”, “preferiti”, “top lettere”.
    Allo stesso tempo, il forum aggiunge funzionalità “social” e permette la creazione di un network di amici.
    ***
    La bottom line è che piuttosto che decidere se una piattaforma 2.0 sia hosting o editore, bisognerebbe favorire una normativa che sia in grado di distinguere fra le due diverse funzionalità.

  8. Interessantissimo!
    Secondo me il nocciolo della questione non e’ tanto la monetizzazione, quanto quali sono i termini del rapporto contrattuale che intercorre tra chi produce il contenuto (=autore, chi scrive), chi lo pubblica (=editore – chi dedide di modificare, organizzare, diffondere al pubblico), chi lo trasforma/produce fisicamente (=stampatore o piattaforma web), chi lo diffonde (=furgoncini + edicole e/o rete internet). Tutto sta a ricondurre a questi ruoli i soggetti online a seconda di cosa fanno.
    IMHO, Youtube e Facebook sono degli editori, perche’ oltre ad esercitare l’attivita’ di diffusione (=stampatore) possono a loro piacimento censurare le informazioni e/o creare opere derivate, quindi controllano l’informazione e non si limitano a rappresentare quello che vuole l’autore (=il privato che ci scrive sopra).
    Invito a leggere questa: ( http://is.gd/6EVtm ) – Art 57 bis.
    Sbaglio o porterebbe alla conclusione che – almeno in Italia – chi fornisce spazi online, sia un hoster qualunque, sia facebook sia youtube ricadrebbe comunque almeno nel ruolo di “stampatore” e dovrebbe (per condurre una vita sana) fare il possibile perche’ gli autori non siano mai ignoti, altrimenti rischierebbe di beccarsi le sanzioni dello “stampatore” se qualcuno degli autori commette reati con quello che scrive?
    (non mi piace il risultato della riflessione, ma tant’e’.)
    A.

  9. Stefano, tu giustamente cogli la tendenza in atto delle piattaforme di prendere maggiore controllo sul contenuto creato dagli utenti però non credo che tu debba in qualche maniera rivedere le categorie sotto cui hai analizzato il fenomeno finora. Non tiriamo in ballo un passaggio da web 1.0 a 2.0 nè mettiamolo riduttivamente in termini piattaforme vs editori, affrontiamo il problema emergente sviluppando ulteriormente il concetto di neutralità, da net a search a platform ad altri modi di declinarlo che ci permettono di affrntare al meglio i problemi collegati di copyright e privacy.

  10. Lorenzo, correttissimo.
    infatti la mia e’ una sorta di cronistoria evolutiva per mostrare che la situazione odierna e’ affatto diversa rispetto al senso che le norme avevano quando sono state scritte e che occorre capire
    1.- se sono dfinitivamente venuti meno i presupposti di allora e, se si sostenesse cio’,
    2.- definire dove sta il confne della neutralita’ della piattaforma tale da garantirne l’irresponsabilita’.
    questo e’ cio’ che intendo quando scrivo:
    “Per dire che non si e’ editori con relativi obblighi e privilegi, e’ sufficiente il fatto che nella monetizzazione, in un caso, generalmente ci sia chi opera una selezione dei contenuti da monetizzare e nell’altro caso la monetizzazione sia su tutti i contenuti ?”

  11. Stefano,
    sono convinto che non vi siano piu confini decifrabili e quindi riconducibili a quello a cui siamo abitati.
    Quello che voglio dire è che vanno “rivisti” alla base e nel suo insieme questi fenomeni e se in qualche modo si vuole cominciare a fare chiarezza è evidente che soltanto una autorità riconosciuta da tutti puo incominciare ad affrontare il problema.
    Per spiegarmi meglio, credo che le tematiche che la rete in senso lato tocca siamo ricche di implicazioni e di interessi che soltanto un’entita sovranazionale puo cominciare ad affrontare.
    Il motivi di questa affermazione è che qualunque provvedimento il legislatore o gli attori in gioco vogliano prendere in considerazione si scontrano immediatamente con il fatto che fuori dai confini nazionali non hanno nessuna valenza, o non sono semplicemente accettati.
    Quindi il problema si sposta tra, come regolamentare, a chi deve regolamentre? Difficile capire chi potrebbe avere questo ruolo perchè se guardiamo al mercato finanziario come esempio da cui prendere spunti non è che di questi tempi troviamo dei modelli limpidi da cui attingere se intendiamo rispettare il ruolo di tutti gli attori coinvolti.
    Un altro mercato da cui prendere spunti è il mercato energetico che potrebbe dare qualche contributo ma è decisamente imperfetto e soprattutto molto legato a cose tangibili, qui siamo di fronte all’intangibile con una fila di interessi che si accavallano l’uno sull’altro e cosa piu preoccupante alla disintermediazione della catena del valore, ovvero il cortocircuito tra la sorgente ed il destinatario.
    Mi fermo qui sebbene questa è un piccolissima parte di un tema molto vasto. Spero di aveti dato qualcosa.
    Sandro

  12. Beh, a livello internazionale c’e’ il Safe Harbor.
    io penso che le norme sulla privacy ed il safe harbor diverranno nel 2010 un argomento chiave delle discussioni tra USA ed Europa per quanto riguarda l’online, andando a toccare proprio gl iinteressi degli oepratori economici. Anche i politici che fino a ieri criticavano le norme sulla privacy si “convertiranno”, non per convinzione ma per utilita’, e contribuiranno a miglioraer l apercezione sui consumatori.

  13. # @Riccardo: please define “editi in qualsiasi modo i contenuti”
    Definirei “editare” l’effettuare con i contenuti qualsiasi operazione che alteri la valenza informativa e che non sia giustificabile con la stretta osservanza di vincoli tecnici o normativi.
    Ovviamente tagliare, incollare, allungare in qualsiasi modo i contenuti, ma anche, ad esempio, selezionare (dare diversa visibilità) ad alcuni contenuti rispetto ad altri: es. favorisco la visibilità di video che riguardano, che so, la Fiorentina a sfavore di quelli che riguardano la Juventus, e ciò in qualsiasi modo: mettere in una posizione piuttosto che in un’ altra della pagina, ricodificare a risoluzione maggiore o minore, etc. Per spiegare meglio, se youtube ricodificasse i video caricati a risoluzioni diverse a seconda della importanza che *soggettivamente*, per qualsiasi motivazione (economica, politica, etc) attribuisce ai contenuti, quella sarebbe attività editoriale. Se lo facesse (come fino ad oggi ha fatto) solo per motivi tecnici (e quindi senza discriminare) , allora no.
    A questo proposito mi viene in mente un dualismo con la neutralità della rete. Anzi il concetto di neutralità rispetto al contenuto informativo è forse proprio il discrimine fra editore e mere conduit.
    Ancora, offuscare volti (se non per obblighi legati al rispetto della privacy) o parti intime (le famose mutande algli affreschi della cappella sistina) è attività editoriale, imho.
    Aggregare contenuti effettuando, di nuovo, una selezione che non abbia motivazioni tecniche o normative, è attività di editore.
    Detto questo, tutti gli editori (ovvero che sono editori in senso tecnico secondo la definizione sopracitata) non sono uguali e non dovrebbero essere trattati alla stessa stregua, imho. E questo perché, la capacità di incidere con la propria attività di editore nella società dell’informazione, è strettamente legata alla dimensione , alla legacy esercitata sui propri lettori/spettatori, alla “credibilità”.

  14. @Riccardo.
    Qualcuno ha deciso che la home page di YouTube deve ospitare le sezioni “Videos Being Watched Now”, “most popular”, “featured videos” (!).
    IMHO quella è attività editoriale. Il fatto che esiste un software che è in grado di selezionare quei video in maniera automatica è solo un dettaglio, la sostanza non cambia.
    Estendere questo concetto anche alle pagine-utente di YouTube, però, mi sembra un po’ azzardato, anche considerando che la funzione di ricerca è l’unico modo di accedere agli altri contenuti.
    È vero che YouTube monetizza i contenuti degli utenti, ma è pur sempre vero che offre un servizio di hosting.
    E, fra l’altro, se è chiaro che c’è “sfruttamento commerciale” dei video, non so se puo’ dire lo stesso per i commenti a quei video.

  15. Il concetto di editore in questo quadro non è semplice da definire, fermo restando che un editore seleziona i contenuti, non li accetta acriticamente. I social network per lo più prendono tutto, salvo eliminare qualcosa che da loro fastidio.
    Le modifiche che si stanno realizzando nel web 2.0, secondo me, dipendono principalmente dal fatto che una volta era soprattutto chi ha i soldi a pubblicare in rete, adesso può farlo chiunque. Per cui si cerca di limitare le voci. Alla fine il succo è che il dialogo multidirezionale comporta sempre problemi per chi detiene il potere (politico ed economico).
    Per quanto riguarda i contenuti non mi pare affatto possibile chiedere ad un social network la cancellazione dei propri contenuti, quello che si può ottenere, in genere, è la cancellazione dei dati personali, che è cosa ben diversa. Di fatto, i contenuti degli utenti vengono acquisiti dal portale. Il diritto morale rimane all’utente, che però cede i diritti di sfruttamento economico.
    Il punto per me è un altro. I cosiddetti provider stanno pericolosamente avviandosi a perdere la caratteristica fondamentale che li definisce tali, cioè la neutralità. Se un provider, un content provider, seleziona i contenuti, prima o dopo la pubblicazione, allora non vi è più la net neutrality che gli consente una irresponsabilità sui contenuti degli utenti. Di fatto è quello che vogliono le major e i produttori, costringere i provider a divenire responsabili dei contenuti, così i danni li chiedono a loro (invece di perseguire la nonnina che scarica 3 mp3!). E di contro un provider con la spada di Damocle della responsabilità dei contenuti si troverà a rimuovere non solo i contenuti illeciti, ma anche tutti quelli dubbi. Basterà che un produttore faccia la voce grossa per ottenere rimozioni di massa. In sintesi si prepara il campo per affidare ai provider il diritto di censura su richiesta di terzi, senza passare per un giudice (giustizia privata ?!?).
    Alla fine chi ci perde sono gli utenti. Si ritornerà al web 1.0, dove potrà scrivere in rete solo chi ha i soldi, mentre chi non li ha dovrà accettare le soffocanti regole degli hosting, con controllo pervasivo sui contenuti.

  16. la società digitale sta evolvendo in forme di economia immateriale
    dove le logiche economiche finora usate vanno in crisi …
    ( vedi A Failure of Capitalism ), il fallimento del mercato, il mito ‘too big to fail’,
    per altri siamo in economie occidentali al collasso ,per altri alla slow economy,
    o attention economy
    in tale contesto parlare di monetizzazione delle attività, informazioni comprese,
    si scontra con modelli quali il Gratis di Chris Anderson difficile, da accettare,
    ( L’economia digitale è basata sull’abbondanza delle risorse disponibili, e non sulla scarsità, quindi sul gratis )
    le informazioni e i contenuti, al di là di chi li produce, sono gratis
    anche perchè l’autore tende a sparire,
    l’informazione web2.0 una volta pubblicata evolve e subisce trasformazioni/elaborazione dal basso da molti utenti, wikipedia insegna …
    Prof Daniele Pauletto

  17. L’acqua si è trasformata in vino perché gli utenti hanno accettato queste strane condizioni che pongono i social network, del resto però se tu fornissi una piattaforma di pubblicazione di contenuti e la fornissi gratuita come ti pagheresti lo sviluppo e la manutenzione? Il metodo più semplice è monetizzare le informazioni che gli utenti generano. Geogities si reggeva sulla pubblicità, Facebook su quella e sull’uso dei dati. Non sono favorevole a questo modello di business però è questione di sopravvivenza.
    Quando parli degli editori dei giornali e dell’impossibilità di far cancellare gli articoli non graditi dimentichi l’obbligo di pubblicare una rettifica che comunque un giornali hanno.

  18. No, non dimentico gli obblighi di rettifica (e mica solo quelli) che i giornali hanno; a quello mi riferisco quando dico che gli editori hanno obblighi e privilegi.
    Il punto e’ proprio quello: quando da pubblicità attaccata al tavolo si passa a pigliare le biglie e farci delle cose, sottraendole o limitandone i diritti di disponibilita’ degli utenti.
    Non sono d’accordo che sia questione di sopravvivenza, casomai di antitrust. Tutto cala come ricavi web, eccetto la raccolta pubbblicitaria di google.

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