Guest post: Qualche riflessione sui nuovi regolamenti dell’AGCOM (Prof. Pollicino, Univ. Bocconi)

Qui sotto il guest post dell'Avv. Oreste Pollicino, una nota che mi ha mandato dato che non ha un blog privato.

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GUEST POST

Qualche riflessione sui nuovi regolamenti dell’AGCOM

Dal secondo successivo alla pubblicazione, effettivamente tardiva, sul sito dell’AGCOM, dei due regolamenti che disciplinano i meccanismi di autorizzazione alla prestazione di servizi media audiovisivi in modalità, rispettivamente, lineare e on demand, si è scatenato un dibattito in cui si è detto tutto ed il contrario di tutto. Evidentemente non aiuta ad avere una univocità di lettura la difficile esegesi cui si presta l’ormai consueto lessico sibillino dell’Autorità di garanzia delle comunicazioni.

Alcuni punti fermi comunque possono, mi pare, essere fissati.

 

Quando un servizio è soggetto ai regolamenti AGCOM ?

Mi riferisco ai presupposti funzionali (cosa deve fare) e spaziali o geografici (dove deve prestare i suoi servizi) un fornitore di servizi media audiovisivi su internet perché sia assoggettabile alla disciplina autorizzatoria prevista dai regolamenti in questione.

I due presupposti, quello funzionale e quello spaziale, devono, ovviamente, ricorrere cumulativamente, altrimenti la disciplina non si applica.

Credo che il modo migliore per provare a fare chiarezza sui profili appena evidenziati sia lasciar “parlare” la normativa, almeno dove il suo portato letterale sia inequivocabile, a tutti i livelli rilevanti: quello europeo (la direttiva SMAV), nazionale di rango primario (il decreto legislativo “Romani” di recepimento – e non solo…- della direttiva) e nazionale di rango secondario (appunto i regolamenti attuativi del Romani di cui stiamo parlando).

Una analisi di questo genere può essere utile per capire se ci sia un contrasto tra il livello regolamentare, quello legislativo e quello comunitario.

Come è a tutti noto, infatti, il primo è vincolato a rispettare il secondo ed il secondo, a sua volta, il terzo. Analizziamo il primo profilo, quello che abbiamo definito “funzionale”, cominciando dal livello più “basso”, quello dei regolamenti attuativi approvati dall’AGCOM.

Più precisamente, i due regolamenti prevedono che la disciplina autorizzatoria si applichi ai fornitori di tali servizi media audiovisivi, nel caso in cui, in capo a questi ultimi, vi sia congiuntamente:

  1. responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata;
  2. sfruttamento economico della propria attività;
  3. una soglia minima di ricavi derivanti da attività tipicamente radiotelevisive (pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati, provvidenze pubbliche e da offerte televisive a pagamento). Tale soglia, individuata in 100.000 euro, rappresenta, a detta dell’Autorità – punto a mio avviso poco condivisibile – un parametro di riferimento per qualificare l’attività in effettiva concorrenza con la televisione, ed è basata sulle dimensioni economiche di settori affini;
  4. infine l’Autorità di garanzia ha ritenuto di precisare che l’esclusione dall’ambito di applicazione del regolamento dei servizi basati su contenuti generati da utenti privati opera a condizione che in capo agli stessi non vi sia alcuna responsabilità editoriale. Qualora, invece, dovessero esservi congiuntamente responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, e sfruttamento economico da parte dei soggetti che provvedono all’aggregazione dei contenuti, anche tali servizi rientrerebbero nella categoria di servizio di media audiovisivo a cui, a patto che sia sussistente il requisito geografico di cui si parlerà successivamente, va applicata la disciplina dettata dal regolamento.

 

Analisi del primo: responsabilità editoriale

Andiamo ad analizzare uno per uno i 4 punti che insieme compongono il profilo funzionale del fornitore di servizi media audiovisivi assoggettabile a detta disciplina.

Per quanto riguarda il primo requisito della responsabilità editoriale, esso è conforme a quanto prevede il nuovo art. 2, c. 2, b del nuovo Testo Unico (post-Romani), a norma del quale "fornitore di servizi di media è la persona fisica o giuridica cui è riconducibile la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo del servizio di media audiovisivo e ne determina le modalità di organizzazione; sono escluse dalla definizione di fornitore di servizi di media le persone fisiche o giuridiche che si occupano unicamente della trasmissione di programmi per i quali la responsabilità editoriale incombe a terzi”.

Il che, a sua volta, è in linea con la ratio della direttiva SMAV che, come è ovvio che sia, condiziona la qualifica di fornitore di servizi media audiovisivi al fatto che il soggetto abbia il controllo sui contenuti.

Il considerando 23 della direttiva è abbastanza chiaro a questo riguardo: “la nozione di responsabilità editoriale è essenziale per la definizione del ruolo del fornitore di servizi di media e, di conseguenza, per quella dei servizi di media audiovisivi”.

 

Analisi del secondo: lo sfruttamento economico

Per quanto riguarda il secondo presupposto prima identificato, quello dello sfruttamento economico, anche questo è in linea con quanto prevede il Testo Unico novellato dal Romani, che esclude dal novero dei servizi di media audiovisivi, al nuovo art. 2, c. 1, «i servizi prestati nell'esercizio di attività precipuamente non economiche”.

Il che è, a sua volta, conforme con la direttiva che, nella seconda parte del suo considerando 16, prevede che il suo ambito di applicazione “deve limitarsi ai servizi definiti dal trattato, inglobando quindi tutte le forme di attività economica, comprese quelle svolte dalle imprese di servizio pubblico, ma non dovrebbe comprendere le attività precipuamente non economiche”

 

Analisi del terzo: la concorrenza con la radiodiffusione televisiva

Con riferimento al terzo elemento prima identificato (ci si vuole concentrare ora, lo si ricorda, sugli art. 2 dei regolamenti in questione che prevede che devono intendersi per servizi che non siano in concorrenza con la radiodiffusione televisiva quei servizi i cui ricavi annui derivanti da pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati, provvidenze pubbliche e da offerte televisive a pagamento non superino centomila euro) bisogna fare due considerazioni.

  • Sotto il profilo della legittimità formale esso non pare attaccabile, perché non fa altro che attuare (cosa che un regolamento attuativo deve fare), nel senso di sviluppare, quanto previsto dall’art. 2, c. 1 del nuovo Testo Unico che prevede che non sono da considerarsi servizi di media audiovisivi i servizi che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva. Il che è, a sua volta, conforme con la direttiva SMAV che prevede lo stesso identico portato al considerando 16 prima ricordato.
  • Per quanto riguarda il profilo di opportunità della fissazione di tale ammontare, inutile ribadire che la valutazione è assai negativa. La soglia è ridicolmente bassa.

 

Analisi del quarto: i contenuti generati dagli utenti

Andiamo adesso al quarto punto prima evidenziato, allorchè si dice, agli artt. 2 dei due regolamenti che “l’attività di comunicazione e di messa a disposizione di contenuti audiovisivi attraverso internet è libera e, in particolare, sono esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento (…) siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati che provvedono alla selezione e alla organizzazione dei contenuti medesimi a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse, tranne nel caso in cui sussistano, in capo ai soggetti che provvedono all’aggregazione dei contenuti medesimi, sia la responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata, sia uno sfruttamento economico”.

Il punto è stato criticato da autorevolissimi commentatori, come Guido Scorza, secondo cui, prevedendo tale specificazione, “la disciplina dettata dall’AGCOM propone una rivisitazione – peraltro di dubbia legittimità perché volta a ridefinire una previsione di rango superiore, ovvero primario – di quanto disposto dall’art. 2 del Testo Unico”.

Ci si riferisce in particolare al punto in cui tale disposizione include tra i soggetti che non devono considerarsi servizi media audiovisivi, in quanto non in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, “i siti Internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell'ambito di comunità di interesse”. Io, onestamente, però, non ci vedo alcuna rivisitazione.

Abbiamo appena visto, infatti, che anche l’art. 2 del Testo Unico, così come novellato dal Romani, prevede, come del resto fa la direttiva SMAV che l’ha recepito, la responsabilità editoriale e lo sfruttamento economico quali condizioni per la identificazione di un fornitore di servizio media-audiovisivi.

Si aggiunga, a fortiori, che l’art. 1 dei due regolamenti ribadiscono espressamente, riprendendo letteralmente il portato della disposizione del decreto Romani appena citata, che “non rientrano nella nozione di “servizio di media audiovisivo”:

− i servizi prestati nell’esercizio di attività precipuamente non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fine di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse”.

In poche parole qui si sta dicendo che

  • o hai responsabilità editoriale, fai sfruttamento economico della tua attività, hai una soglia di fatturato superiore ai 100.000 euro ed allora presti un servizio media audiovisivo e, dunque, se in più hai un “collocamento geografico” che andremo tra un momento ad analizzare, sei vincolato a chiedere l’autorizzazione o a inviare una segnalazione certificata di inizio attività,
  • oppure mancano uno od entrambi i due requisiti della responsabilità editoriale e dello sfruttamento economico ed allora non sei un fornitore di servizi media audiovisivi e non devi preoccuparti di niente, a prescindere da dove ti trovi.

In altre parole una piattaforma che ospita user generated content anche se che presta tale servizio a fine di lucro ma non ha controllo editoriale suoi contenuti, non è comunque soggetta alla disciplina prevista dai due regolamenti. Tutto qui.

Tutto dunque, per quanto riguarda il profilo funzionale, in linea con il decreto Romani e la direttiva SMAV che, sempre allo stesso considerando 16, aggiunge che non rientrano nell’ambito di applicazione della normativa “i siti Internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell'ambito di comunità di interesse”.

 

Circa la competenza geografica

Passiamo adesso, più brevemente, a guardare all’altro profilo rilevante per l’applicazione della disciplina, quello che abbiamo definito “spaziale”. L’art. 4 del regolamento per le webtv prevede che, anche se sei un fornitore di servizi di media audiovisivi ai sensi della normativa italiana e comunitaria, ed hai quindi le caratteristiche che si sono viste in precedenza, non devi chiedere alcuna autorizzazione se rientri tra “i fornitori di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici legittimamente stabiliti in uno Stato appartenente all’Unione europea o in uno Stato parte della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla televisione transfrontaliera, e in questo legittimamente esercenti, non sono tenuti a richiedere l’autorizzazione per prestazione di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici ai sensi del presente regolamento”.

Così come l’art. 4 del regolamento sulle modalità di trasmissione on demand prevede che “i fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta, legittimamente stabiliti in un Stato appartenente all’Unione europea o in uno Stato parte della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla televisione transfrontaliera e in questo legittimamente esercenti, non sono tenuti a presentare una segnalazione certificata di inizio attività ai sensi del presente regolamento”

E’ evidente che è cruciale stabilire, in entrambi i casi, quando un fornitore di servizi media audiovisivi su internet possa considerarsi stabilito in un determinato Stato membro e non in un altro.

A questi fini è utilissimo guardare all’orientamento della giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia dell’Unione europea che, ai fini dell’identificazione della sede di stabilimento della società che presta servizi di internet, individua tale luogo nello Stato in cui si svolge in modo effettivo la sua attività economica.

Inoltre ci viene in soccorso anche il considerando 19 della direttiva 31/2000 sul commercio elettronico che fa riferimento all’ipotesi in cui sia difficile determinare da quale, tra i vari luoghi di stabilimento di una società che presta servizi dell’informazione, la fornitura del servizio sia prestato, e si precisa che, in questo caso, “tale luogo è quello in cui il prestatore ha il centro delle sue attività”.

D’altronde è lo stesso decreto Romani, che il regolamento in questione attua, che specifica che “sono soggetti alla giurisdizione italiana i fornitori di servizi di media audiovisivi e di radiofonia stabiliti in Italia conformemente al comma 3" e il comma 3 dice che si considera stabilito in Italia quando ha la sua sede principale o una parte rilevante degli addetti che sono stabiliti in Italia”.

Dunque, a contrario, se la sede principale del fornitore di servizi non è in Italia o, per riprendere la normativa europea, il centro effettivo del suo business non è in Italia, esso non deve richiedere alcuna autorizzazione o presentare una certificazione.

Tutto questo sul presupposto, che emerge chiaramente tra le righe dei due regolamenti, che lo stesso fornitore sia stato autorizzato, ovviamente nel caso in cui sia prevista un'autorizzazione dalla legge nazionale- visto che la direttiva non pone alcun obbligo in questo senso – nello Stato membro in cui ha la sede principale della tua attività economica.

 

Come c'entra Youtube ?

Definiti in questo modo i presupposti funzionali e spaziali (geografici) che delimitano l’ambito di applicazione della disciplina prevista dal regolamento, in che modo essa può toccare YouTube?

La prima domanda da farsi per capire se a YouTube sia o meno applicabile la disciplina autorizzatoria prevista dal regolamento è se, per quanto riguarda il profilo funzionale (ciò YouTube che fa), si tratta di un fornitore di un servizio media audiovisivi e se quindi ha responsabilità editoriale, sfrutta economicamente la sua attività e può entrare in concorrenza, anche alla luce della sua soglia di fatturato, con la radiodiffusione televisiva.

E’ evidente che è sul primo elemento, quello della responsabilità editoriale, che le opinioni sono più discordanti e non è ovviamente questa la sede per risolvere la questione, né tantomeno io la persona competente per farlo (la mia impressione è comunque che sia difficile provare oggi una responsabilità editoriale in senso stretto in capo a YouTube).

Un motivo in più per non entrare in questa disputa è riflettere sul fatto che, anche se, per ipotesi, si dovesse concludere che per la normativa italiana YouTube sia da considerarsi un fornitore di servizi media audiovisivi, in ogni caso la disciplina dettata dal regolamento, mi pare, non possa essere applicata allo stesso YouTube perché è carente, nel caso di specie, il presupposto spaziale o geografico previsto per la sua applicazione: ovvero, com’è noto, l’Italia non è lo Stato membro dell’Unione europea in cui YouTube ha la il centro effettivo o prevalente della sua attività.

Anche a voler considerare che il numero degli addetti presenti nella sede italiana possa essere considerata “significativa”, è lo stesso art. 1 bis del “nuovo” Testo Unico a levarci qualsiasi dubbio prevedendo che “se una parte significativa degli addetti allo svolgimento dell'attivita' di servizio di media audiovisivo opera sia in Italia sia nell'altro Stato membro dell'Unione europea, il fornitore si considera stabilito in Italia qualora sul territorio italiano si trovi la sua sede principale”.

E nessuno, credo, possa negare che sia in Irlanda e non in l’Italia, la sede principale europea di stabilimento di YouTube.Se quindi non è prevista alcuna autorizzazione in Irlanda , nessuna autorizzazione in Europa per Youtube è necessaria.

Dunque può dirsi che, ai sensi della nozione di stabilimento dettata dalla disciplina europea e che è rilevante ai nostri fini, YouTube non è stabilito in Italia. Ad esso si applicherà dunque, ammesso e non concesso che lo stesso YouTube si possa fare rientrare, sotto il profilo funzionale, tra i fornitori di servizi media audiovisivi, l’esonero dalla presentazione di qualsiasi segnalazione certificata di inizio attività o richiesta di autorizzazione prevista dai due regolamenti in questione.

 

Conclusione

In conclusione, per quanto riguarda esclusivamente gli aspetti oggetto di analisi, non sembra emergere un contrasto tra rispettivamente, la fonte regolamentare, quella legislativa e quella comunitaria.

 

Un punto critico

Si può e si deve discutere invece sull’opportunità, in termini di politica economica del diritto, di fissare la soglia “di concorrenza” ai 100.000 euro. A me pare sia assolutamente inefficace per realizzare lo scopo che si prefigge (ammesso che lo scopo sia proprio quello…).

A mio avviso, il punto più debole del decreto Romani e dunque di tutte le norme di carattere secondario che, come i regolamenti oggetto di analisi, hanno come presupposto della loro vigenza la legittimità dello stesso decreto, rimane il marchiano eccesso di delega di cui esso è viziato e che ho cercato di fare emergere altrove.

Ricordo che l’istituto dell’illegittimità costituzionale consequenziale comporta l’annullamento di tutta la normativa che dipende da quella “originaria” valutata incostituzionale. Sorte che potrebbe dunque spettare, se le cose dovessero andare in un certo modo, anche ai regolamenti di cui stiamo parlando.

Prof. Oreste Pollicino, Univ. Bocconi

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4 thoughts on “Guest post: Qualche riflessione sui nuovi regolamenti dell’AGCOM (Prof. Pollicino, Univ. Bocconi)”

  1. Davvero un bellissimo intervento.
    Andrebbe tradotto in inglese e diffuso agli amici di Slashdot e Techdirt, giusto per ristabilire qualche elemento di verità rispetto a quanto da loro riportato.
    La natura giuridica di YouTube è affascinante. Personalmente ritengo che non abbia un’unica natura giuridica ma sia sussumibile in categorie differenti a seconda del servizio offerto.
    Concordo con Oreste, ad esempio, nell’assenza di responsabilità editoriale (anche se sarebbe interessante cominciare a ragionare sulla possibilità di configurare una responsabilità editoriale anche con riferimento a condotte non-umane) laddove si faccia riferimento al servizio base offerto da You Tube, quello di caricamento di video da parte dei comuni utenti.
    Ma un servizio come YouTube Movies non è differente? In quel caso non è evidente che la piattaforma operi non per ospitare contenuti immessi dagli utenti ma per fornire un catologo on demand di pellicole cinematografiche? Perchè il suo inquadramento giuridico dovrebbe essere differente (limitatamente a quel servizio) da un Rai.tv o altro?

  2. La mia suddivisione schematica è leggermente diversa da quella descritta dall’ottimo Prof. Pollicino.
    Secondo il mio personale parere, un servizio di media audiovisivi è soggetto ai regolamenti AGCOM quando sussistono tutti e quattro i seguenti elementi:
    1. responsabilità editoriale, in qualsiasi modo esercitata (anche con strumenti automatici, ergo YouTube ha questo elemento);
    2. sfruttamento economico del servizio stesso (YouTube ha anche questo elemento e direi che sfrutta economicamente anche i video caricati dai suoi utenti);
    3. soglia minima di ricavi derivanti dal servizio di 100.000 euro (YouTube ha anche questo elemento);
    4. svolgimento verso l’Italia dell’attività economica riconducibile al servizio (YouTube ha anche questo elemento).
    Quindi sui primi tre punti concordo sostanzialmente con il Prof. Pollicino. Il suo quarto punto non lo annovererei come una condizione perchè, a mio sommesso avviso, trattasi più propriamente di una ipotesi di esclusione per mancanza di uno dei primi tre elementi (ed i singoli casi che si possono prospettare vanno valutati in concreto e non in via preliminare ed astratta). Il quarto punto sarebbe invece quello che il Prof. Pollicino definisce l’elemento spaziale. Su questo punto divergo un po’ dalla sua opinione. A mio avviso infatti non è tanto importante stabilire l’elemento spaziale in base all’art.4 del regolamento AgCom, che prevede solo uno dei diversi adempimenti e neanche il più rilevante (trattandosi di un mero adempimento formale, ovvero l’autorizzazione o la segnalazione certificata di inizio attività, a seconda dei casi), quanto stabilirlo ai fini dell’applicazione dell’intera disciplina nazionale (ovvero ai fini dell’osservanza degli obblighi che Quintarelli aveva elencato a questo suo post: http://blog.quintarelli.it/blog/2011/01/youtube-%C3%A8-come-una-tv-agcom-vara-i-nuovi-obblighi-repubblicait.html ). Lo scopo del regolamento è quello di dare attuazione particolareggiata alla direttiva comunitaria stabilendo quando alcuni operatori di servizi media audiovisivi che operano nei riguardi dell’utenza italiana siano assoggettati alla normativa italiana. Intendo dire che anche operatori con sede all’estero che svolgono l’attività indiscutibilmente ed esclusivamente verso il mercato italiano e l’utenza italiana sono tenuti a rispettare gli obblighi e gli adempimenti del regolamento che non sono per loro espressamente esclusi. Si può convenire che l’art.4 del regolamento AgCom non si applichi agli operatori che hanno già ottenuto l’autorizzazione all’estero (ove richiesta dallo Stato estero), ma ciò non significa che non si applichino tutti gli altri obblighi (rispetto delle norme in materia di pubblicità e protezione dei minori) ed adempimenti (misure tecniche di tutela) che il regolamento prevede per ogni specie di servizio di media audiovisivi. In definitiva come dicevo qui:
    http://blog.quintarelli.it/blog/2011/01/se-youtube-%C3%A8-una-tv-io-sono-socrate.html?cid=6a00d8341c55f253ef0148c74f9f42970c#comment-6a00d8341c55f253ef0148c74f9f42970c
    la questione dell’identificazione del country of origin o di criteri di collegamento alternativi non sarà risolutiva dei problemi di giurisdizione e di legge applicabile che potranno in concreto verificarsi, in quanto nella prassi il criterio che verrà adottato per stabilire se un operatore, anche con sede all’estero, sia tenuto all’osservanza della normativa primaria e secondaria italiana sarà quello di verificare la sussistenza dei quattro elementi come li ho sopra riportati e, con riferimento particolare al quarto elemento, l’incidenza degli effetti dell’attività sul mercato e l’utenza italiana, vale a dire il rispetto dell'”interesse pubblico generale” della Nazione Italiana (relativamente alla cultura, alla storia, alla tradizione, all’arte, alla religione, all’educazione, alla società, etc.). Nè potrebbe essere diversamente perchè altrimenti basterebbe avere una sede all’estero senza alcun criterio di collegamento fisico con l’Italia per poter trasmettere anche con servizio non lineare pubblicità indiscriminata e selvaggia o addirittura le peggiori nefandezze in lingua italiana (e dunque programmi indiscutibilmente ed esclusivamente rivolti verso il mercato e l’utenza italiana). E questo naturalmente non è possibile nè in altri Stati europei, nè nella quasi totalità degli Stati del resto del mondo.

  3. Stefano qualche giorno fa mi invitava a non andare OffTopic sotto intendendo che secondo lui vi ero andato ma continuo a non esserne convinto e questo interessantissimo post mi porge l’occasione per spiegarmi:
    Le TLC sono fatte *sempre* di 3 attori
    a) chi produce contenuti e/o *servizi per la diffusione* dei contenuti (BrodcastTV, WebTV, IPTV, “lineare” piuttosto che “on demand”, etc.)
    b) una serie di soggetti che *trasportano* (Broadcast mediante “ripetitori radio”, mentre su IP abbiamo uno piu’ ISP coinvolti)
    c) una serie di utenti
    ora mi pare sia abbastanza delineata l’analisi di cio che AGCOM impone o imporrebbe agli attori di tipo a) mentre mi rimane oscuro se e quanto AGCOM in funzione del decreto Romani impone o potrebbe imporre ai soggetti di tipo b).
    Il decreto Romani parla espressamente di obblighi in capo ai soggetti di tipo b) ad ottemperare a richieste di oscuramento su richiesta di AGCOM, che su Broadcast (ripetitori radio) è piuttosto banale ed una operazione “definitiva” (e cioe invalicabile) in quanto si tratta di “spegnere una frequenza” mentre nel caso IP la cosa diviene impossibile da rendere “definitiva”, in quanto non abbiamo un canale trasmissivo utilizzato da un solo “emettitore” ma grazie alla commutazione di pacchetto il MEDESIMO canale trasmissivo è utilizzabile da un numero grande a piacere di soggetti e la separazione dei pacchetti per sorgente è sempre tecnicamente eludibile indipendentemente da quanti sforzi tecnici faccia il trasportatore in quanto il trasportatore puo’ sempre essere “accecato” dall’intelligenza a bordo dell’apparato ricevente dell’utente.
    Detto in altri termini mentre la diffusione di tipo “broadacast” classica consente di precludere la visione di un contenuto agli utenti indipendentemente dalla volonta di questi ultimi (giusto o sbagliato che sia la scelta di vietare un certo contenuto), nel caso IP senza la collaborazione degli “ascoltatori” è impossibile precludere un contenuto e l’unico modo per precluderlo è bloccare l’origine e non il trasporto, in pratica torniamo ad alla situazione di chi parla in una piazza dove non è possibile dire all’aria di non trasmettere il suono e quindi l’unico modo per evitare la diffusione di un contenuto è tappare la bocca all’oratore.
    Direi che la trasmissione su IP ci riporta alle condizioni della trasmissioni in bassa frequenza dove un segnale puo essere ascoltato a grandissime distanze senza che vi sia alcuna necessita di ripetizione del segnale e quindi o si spegne la sorgente o tutti possono ascoltare … o come dire che siamo sempre in condizioni di trasmissioni “transfrontaliere”

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