L’Oreal la spunta su eBay alla corte di giustizia europea

Tutta la decisione e’ qui. Il marketplace deve essere neutrale per essere esente..

Where the operator of the online marketplace has not played an active role within the meaning of the preceding paragraph and the service provided falls, as a consequence, within the scope of Article 14(1) of Directive 2000/31, the operator none the less cannot, in a case which may result in an order to pay damages, rely on the exemption from liability provided for in that provision if it was aware of facts or circumstances on the basis of which a diligent economic operator should have realised that the offers for sale in question were unlawful and, in the event of it being so aware, failed to act expeditiously in accordance with Article 14(1)(b) of Directive 2000/31.

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3 thoughts on “L’Oreal la spunta su eBay alla corte di giustizia europea”

  1. http://www.ebaymainstreet.com/news-events/ebay-responds-cjeu-ruling-ebay-v-loreal-uk-case
    Questa è la risposta di eBay alla sentenza citata.
    Credo che il problema non sia solo quello della responsabilità del marketplace nei confronti dei prodotti messi in vendita. Più in generale la questione riguarda la possibilità per un singolo venditore di mettere in vendita merci legittimamente possedute citando il marchio. In applicazione della sentenza eBay dovrebbe controllare che chiunque venda un prodotto ed usa il marchio dell’azienda, abbia l’autorizzazione della stessa ad usare i segni distintivi, come unico modo per essere sicuri che la merce non sia contraffatta senza effettuare un sequestro ed una perizia. Ma il venditore potrebbe essere il legittimo proprietario della merce perché acquistata da diversi altri rivenditori con acquisti a stock, merce del tutto regolare e non contraffatta, senza che il venditore abbia rapporti ed autorizzazioni all’uso dei segni distintivi.
    Come regolarsi in questi casi ?
    E se l’unico modo di controllo fosse la verifica di un accordo produttore/venditore, non sarebbe una violazione del divieto di accordi verticali produttori/distributori?

  2. @Giovanni Cappellotto: Cito alcuni paragrafi della sentenza che possono essere utili per rispondere ai tuoi interrogativi.
    (inizio virgolette)
    27 La distribuzione dei prodotti della L’Oréal avviene mediante un sistema chiuso di distribuzione, nell’ambito del quale è vietato ai distributori autorizzati di fornire prodotti ad altri distributori.
    30 I venditori e gli acquirenti sono tenuti ad accettare le condizioni d’uso del mercato online fissate dalla eBay. Tra le condizioni suddette rientrano il divieto di vendita di oggetti contraffatti e di arrecare pregiudizio a marchi.
    31 Ove necessario, la eBay aiuta i venditori ad ottimizzare le loro offerte, a creare i loro negozi online, a promuovere e ad aumentare le loro vendite. Essa fa altresì pubblicità a taluni prodotti messi in vendita nel suo mercato online mediante la visualizzazione di annunci ad opera di gestori di motori di ricerca, quali Google.
    34 La L’Oréal ha adito la High Court of Justice per far constatare, in primo luogo, che la eBay e le persone fisiche convenute sono responsabili delle vendite effettuate da quest’ultime, attraverso il sito http://www.ebay.co.uk, di 17 articoli, vendite che a dire della L’Oréal avrebbero leso i diritti conferitile, segnatamente, dal marchio figurativo comunitario contenente le parole «Amor Amor» e dal marchio denominativo nazionale «Lancôme».
    35 È pacifico tra la L’Oréal e la eBay che, dei suddetti 17 articoli, due erano contraffazioni di prodotti di marca della L’Oréal.
    36 Per quanto riguarda gli altri quindici articoli, pur non affermando che essi siano contraffazioni, la L’Oréal ritiene nondimeno che la loro vendita leda i suoi diritti di marchio, in quanto essi sono prodotti non destinati alla vendita, quali articoli da utilizzare per la dimostrazione e campioni gratuiti, oppure prodotti di marca della L’Oréal destinati alla vendita in America del Nord e non nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»). Inoltre alcuni di detti articoli sono stati venduti senza imballaggio.
    39 A quest’ultimo proposito, è pacifico che la eBay, selezionando parole chiave corrispondenti a marchi della L’Oréal nell’ambito del servizio di posizionamento «AdWords» di Google, ha fatto comparire, ogni volta che sussisteva una concordanza tra tale parola e quella contenuta nella richiesta rivolta da un utente Internet al motore di ricerca di Google, un link pubblicitario verso il sito http://www.ebay.co.uk. Tale link compariva nella rubrica «Link sponsorizzati», che è mostrata nella parte destra oppure nella parte superiore della schermata mostrata da Google.
    54 Prima di esaminare tali questioni è importante ricordare, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, che, in linea di principio, i diritti esclusivi conferiti dai marchi possono essere fatti valere solo nei confronti degli operatori economici. Infatti, affinché il titolare di un marchio possa vietare l’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile a tale marchio, è necessario che tale uso abbia luogo nel commercio (v., in particolare, sentenze 16 novembre 2004, causa C‑245/02 Anheuser-Busch, Racc. pag. I‑10989, punto 62, e 18 giugno 2009, causa C‑487/07, L’Oréal e a., Racc. pag. I‑5185, punto 57).
    55 Ne consegue che, quando una persona fisica vende un prodotto contrassegnato da un marchio mediante un mercato online senza che tale operazione rientri nel contesto di un’attività commerciale, il titolare del marchio non può invocare il proprio diritto esclusivo di cui all’art. 5 della direttiva 89/104 e all’art. 9 del regolamento n. 40/94. Laddove, per contro, le vendite effettuate in tale mercato superino, per il loro volume, la loro frequenza o altre caratteristiche, la sfera di un’attività privata, il venditore si colloca nell’ambito del «commercio» ai sensi di detti articoli.
    56 Nella sentenza 22 maggio 2009 il giudice del rinvio ha constatato che il sig. Potts, una delle persone fisiche convenute, aveva venduto attraverso il sito http://www.ebay.co.uk, un numero considerevole di articoli recanti marchi della L’Oréal. In considerazione di tale circostanza, il giudice del rinvio ha concluso che tale persona aveva agito quale commerciante. Constatazioni analoghe sono state fatte per quanto riguarda le sig.re Ratchford, Ormsby, Clarke e Bi, nonché riguardo ai sigg. Clarke e Fox.
    59 La norma enunciata all’art. 5 della direttiva 89/104 e all’art. 9 del regolamento n. 40/94 conferisce al titolare del marchio un diritto esclusivo che gli consente di vietare ai terzi d’importare prodotti recanti il suo marchio, di offrirli, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, mentre l’art. 7 della stessa direttiva e l’art. 13 del medesimo regolamento hanno previsto un’eccezione a tale norma, disponendo che il diritto del titolare si esaurisce qualora i prodotti siano stati immessi in commercio nel SEE – o nel caso di marchio comunitario, nell’Unione – dal titolare stesso o con il suo consenso (v., in particolare, sentenze 30 novembre 2004, causa C‑16/03, Peak Holding, Racc. pag. I‑11313, punto 34; 15 ottobre 2009, causa C‑324/08, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., Racc. pag. I‑10019, punto 21, nonché 3 giugno 2010, causa C‑127/09, Coty Prestige Lancaster Group, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 28 e 46).
    60 Nell’ipotesi esaminata nell’ambito della presente questione, in cui i prodotti non sono stati mai messi in commercio all’interno del SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, non può trovare applicazione l’eccezione di cui all’art. 7 della direttiva 89/104 e all’art. 13 del regolamento n. 40/94. A tal proposito, la Corte ha più volte statuito che è essenziale che il titolare di un marchio registrato in uno Stato membro possa controllare la prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti detto marchio (v., in particolare, sentenze 20 novembre 2001, cause riunite da C‑414/99 a C‑416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, Racc. pag. I‑8691, punto 33; Peak Holding, cit., punti 36 e 37, nonché Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., cit., punto 32).
    61 Pur ammettendo tali principi, la eBay sostiene che il titolare di un marchio registrato in uno Stato membro o di un marchio comunitario non può far valere utilmente il diritto esclusivo conferito da detto marchio fintantoché i prodotti contrassegnati da quest’ultimo e offerti in vendita in un mercato online si trovino in uno Stato terzo e non siano necessariamente avviati verso il territorio per il quale detto marchio è stato registrato. La L’Oréal, il governo del Regno Unito, i governi italiano, polacco e portoghese, nonché la Commissione europea ritengono, per contro, che le norme della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94 si applichino dal momento in cui appare evidente che l’offerta in vendita del prodotto contrassegnato da un marchio che si trova in uno Stato terzo è destinata a consumatori che si trovano nel territorio per il quale il marchio è stato registrato.
    62 Deve essere accolta quest’ultima tesi. In caso contrario, infatti, gli operatori che fanno ricorso al commercio elettronico, proponendo in vendita, in un mercato online destinato a consumatori che si trovano nell’Unione, prodotti contrassegnati da un marchio che si trovano in uno Stato terzo, che possono essere visualizzati sullo schermo e ordinati mediante detto mercato online, non avrebbero, relativamente alle offerte in vendita di questo tipo, nessun obbligo di conformarsi alle norme dell’Unione in materia di proprietà intellettuale. Una situazione del genere vanificherebbe l’effetto utile di tali norme.
    63 È sufficiente rilevare, in proposito, che, ai sensi dell’art. 5, n. 3, lett. b) e d), della direttiva 89/104 e dell’art. 9, n. 2, lett. b) e d), del regolamento n. 40/94, l’uso, da parte di terzi, di segni identici o simili a marchi al quale possono opporsi i titolari di questi ultimi comprende l’uso di detti segni nelle offerte in vendita e nella pubblicità. Come hanno osservato l’avvocato generale al paragrafo 127 delle sue conclusioni e la Commissione nelle sue osservazioni scritte, sarebbe pregiudicata l’efficacia di tali norme qualora l’uso, in un’offerta in vendita o in una pubblicità su Internet destinata a consumatori che si trovano nell’Unione, di un segno identico o simile a un marchio registrato nell’Unione, fosse sottratto all’applicazione di tali norme per il solo fatto che il terzo all’origine di detta offerta o pubblicità è stabilito in uno Stato terzo, il server del sito Internet da lui utilizzato si trovi in tale Stato o ancora il prodotto oggetto di detta offerta o pubblicità si trovi in uno Stato terzo.
    64 Occorre tuttavia precisare che la mera accessibilità di un sito Internet nel territorio per il quale il marchio è stato registrato non è sufficiente a concludere che le offerte in vendita che compaiono in esso sono destinate a consumatori che si trovano in tale territorio (v., per analogia, sentenza 7 dicembre 2010, cause riunite C‑585/08 e C‑144/09, Pammer e Hotel Alpenhof, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 69). Infatti, laddove l’accessibilità in tale territorio di un mercato online fosse sufficiente a far sì che gli annunci che compaiono in quest’ultimo rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, sarebbero indebitamente assoggettati al diritto dell’Unione siti e annunci che, pur essendo manifestamente destinati esclusivamente a consumatori situati in Stati terzi, sono tuttavia tecnicamente accessibili nel territorio dell’Unione.
    65 Di conseguenza è compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un’offerta in vendita, che compare in un mercato online accessibile nel territorio per il quale il marchio è stato registrato, sia destinata a consumatori che si trovano in tale territorio. Allorché l’offerta in vendita è accompagnata da precisazioni riguardo alle aree geografiche verso le quali il venditore è disposto a spedire il prodotto, tale tipo di precisazione riveste un’importanza particolare nell’ambito della suddetta valutazione.
    66 Nella causa principale, il sito recante l’indirizzo «www.ebay.co.uk» appare, in mancanza di elementi probatori contrari, destinato a consumatori che si trovano nel territorio per il quale i marchi nazionali e comunitari fatti valere sono stati registrati, cosicché le offerte in vendita che compaiono in tale sito e sono oggetto della causa principale rientrano nell’ambito di applicazione delle norme dell’Unione in materia di tutela dei marchi.
    67 Alla luce di quanto precede, la settima questione posta va risolta dichiarando che, allorché prodotti che si trovano in uno Stato terzo, recanti un marchio registrato in uno Stato membro dell’Unione o un marchio comunitario e non commercializzati precedentemente nel SEE o, nel caso di marchio comunitario, non commercializzati precedentemente nell’Unione, sono venduti da un operatore economico, attraverso un mercato online e senza il consenso del titolare di detto marchio, ad un consumatore che si trova nel territorio per il quale il marchio di cui trattasi è stato registrato o sono oggetto di un’offerta in vendita o di pubblicità in un mercato siffatto destinata a consumatori che si trovino nel suddetto territorio, il titolare del marchio può opporsi alla vendita, all’offerta o alla pubblicità summenzionate in forza delle norme di cui all’art. 5 della direttiva 89/104 o all’art. 9 del regolamento n. 40/94. È compito dei giudici nazionali valutare caso per caso se sussistano elementi pertinenti per concludere che un’offerta in vendita o una pubblicità che compare in un mercato online accessibile in detto territorio sia destinata a consumatori che si trovano in quest’ultimo.
    68 È pacifico che, all’epoca dei fatti esaminati dal giudice del rinvio, le persone fisiche convenute hanno del pari offerto in vendita, sul sito http://www.ebay.co.uk, articoli destinati alla dimostrazione e campioni gratuiti che la L’Oréal aveva gratuitamente fornito ai propri distributori autorizzati.
    69 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se la fornitura, da parte del titolare di un marchio, di articoli contrassegnati da quest’ultimo, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi anch’essi contrassegnati da tale marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, costituisca un’immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94.
    70 Detto giudice, in questo contesto, ha constatato che la L’Oréal aveva chiaramente indicato ai propri distributori autorizzati che essi non potevano vendere tali articoli e flaconi, che peraltro spesso recavano la dicitura «vietata la vendita».
    73 Si deve pertanto risolvere la prima questione posta dichiarando che la fornitura da parte del titolare di un marchio ai propri distributori autorizzati di articoli recanti tale marchio, destinati alla dimostrazione ai consumatori nei punti vendita autorizzati, nonché di flaconi recanti detto marchio, dai quali possono essere prelevate piccole quantità di prodotto da fornire ai consumatori quali campioni gratuiti, non costituisce, in mancanza di elementi probatori contrari, un’immissione in commercio ai sensi della direttiva 89/104 o del regolamento n. 40/94.
    74 Come esposto ai punti 36, 37 e 51 della presente sentenza, taluni degli esemplari di prodotti recanti marchi di cui è titolare la L’Oréal sono stati venduti privi di imballaggio da commercianti che agivano attraverso il mercato della eBay.
    75 Con le questioni seconda, terza e quarta, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’eliminazione dell’imballaggio di prodotti, quali quelli di cui si tratta nella causa principale, leda il diritto esclusivo del titolare del marchio apposto su tali prodotti, consentendo quindi a quest’ultimo di opporsi alla rivendita dei prodotti così disimballati.
    78 Occorre anzitutto osservare che, in considerazione della varietà di gamme di profumi e di prodotti cosmetici, la questione se la rimozione dell’imballaggio di un prodotto del genere pregiudichi l’immagine di quest’ultimo e, quindi, la reputazione del marchio da cui è contrassegnato va esaminata caso per caso. Infatti, come ha esposto l’avvocato generale ai punti 71‑74 delle proprie conclusioni, l’aspetto di un profumo o di un prodotto cosmetico senza imballaggio può talvolta trasmettere efficacemente l’immagine di prestigio e di lusso di tale prodotto, mentre, in altri casi, l’eliminazione di detto imballaggio ha proprio la conseguenza di arrecare pregiudizio a tale immagine.
    79 Un pregiudizio siffatto può aversi allorché l’imballaggio contribuisce, a pari titolo o più del flacone o del contenitore, alla presentazione dell’immagine del prodotto creata dal titolare del marchio e dai suoi distributori autorizzati. È del pari possibile che l’assenza di talune o di tutte le informazioni richieste dall’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 arrechi pregiudizio all’immagine del prodotto. Incombe al titolare del marchio comprovare l’esistenza degli elementi costitutivi di tale pregiudizio.
    83 Alla luce di quanto precede, le questioni seconda, terza e quarta vanno risolte dichiarando che l’art. 5 della direttiva 89/104 e l’art. 9 del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può, in forza del diritto esclusivo conferitogli da quest’ultimo, opporsi alla rivendita di prodotti, quali quelli di cui trattasi nella causa principale, per il fatto che il rivenditore ha eliminato l’imballaggio di tali prodotti, qualora in conseguenza della rimozione di tale imballaggio informazioni essenziali, come quelle relative all’identificazione del produttore o del responsabile dell’immissione in commercio del prodotto cosmetico, risultino mancanti. Nel caso in cui la rimozione dell’imballaggio non abbia condotto a siffatta mancanza di informazioni, il titolare del marchio può nondimeno opporsi a che un profumo o un prodotto cosmetico contrassegnato dal marchio di cui è titolare sia rivenduto privato dell’imballaggio, laddove dimostri che la rimozione dell’imballaggio ha arrecato pregiudizio all’immagine del prodotto in questione e quindi alla reputazione del marchio.
    (fine virgolette)
    Poi ci sono le questioni a cui ha fatto cenno Quintarelli e che sono state risolte in conformità alla consolidata giurisprudenza della Corte in materia.
    (inizio virgolette)
    97 Considerato quanto precede, le questioni quinta e sesta devono essere risolte dichiarando che l’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 e l’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può vietare al gestore di un mercato online di fare pubblicità – partendo da una parola chiave identica a tale marchio selezionata da tale gestore nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet – ai prodotti recanti detto marchio messi in vendita nel suddetto mercato, qualora siffatta pubblicità non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente di Internet normalmente informato e ragionevolmente attento di sapere se tali prodotti o servizi provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente collegata a quest’ultimo oppure, al contrario, da un terzo.
    104 Nei limiti in cui consente ai propri clienti di fare tale uso, il ruolo del gestore del mercato online non può essere valutato alla luce delle disposizioni della direttiva 89/104 e del regolamento n. 40/94, ma deve essere esaminato nella prospettiva di altre norme di diritto, quali quelle enunciate nella direttiva 2000/31, in particolare alla sezione 4 del capo II della medesima, che riguarda la «responsabilità dei prestatori intermediari» nel commercio elettronico e che comprende gli artt. 12‑15 della stessa direttiva (v., per analogia, sentenza Google France e Google, cit., punto 57).
    105 Considerato quanto precede, si deve rispondere all’ottava questione posta dichiarando che il gestore di un mercato online non fa «uso», ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94, dei segni identici o simili a marchi che figurano in offerte in vendita che compaiono sul suo sito.
    110 Per quanto riguarda il mercato online di cui trattasi nella causa principale, è pacifico che la eBay immagazzina, vale a dire memorizza sul proprio server, dati forniti dai suoi clienti. La eBay effettua tale memorizzazione ogni volta che un cliente apre presso di essa un account e le fornisce i dati circa le proprie offerte in vendita. Inoltre, la eBay è normalmente ricompensata in quanto riscuote una percentuale sulle operazioni effettuate a partire da tali offerte in vendita.
    111 Nondimeno la circostanza che il servizio fornito dal gestore di un mercato online comprenda la memorizzazione di informazioni che gli sono trasmesse dai suoi clienti venditori non è di per sé sufficiente per poter concludere che detto servizio rientri, in ogni caso, nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31. Detta disposizione deve, infatti, essere interpretata non soltanto in considerazione del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v., per analogia, sentenza 16 ottobre 2008, causa C‑298/07, Bundesverband der Verbraucherzentralen und Verbraucherverbände, Racc. pag. I‑7841, punto 15 e giurisprudenza citata).
    112 A tal riguardo, la Corte ha già precisato che, affinché il prestatore di un servizio su Internet possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 14 della direttiva 2000/31, è necessario che egli sia un «prestatore intermediario» nel senso inteso dal legislatore nell’ambito della sezione 4 del capo II di tale direttiva (v. sentenza Google France e Google, cit., punto 112).
    113 Così non è allorché il prestatore del servizio, anziché limitarsi ad una fornitura neutra di quest’ultimo, mediante un trattamento puramente tecnico e automatico dei dati forniti dai suoi clienti, svolge un ruolo attivo atto a conferirgli una conoscenza o un controllo di tali dati (sentenza Google France e Google, cit., punti 114 e 120).
    114 Dal fascicolo e dalla descrizione dei fatti che compare ai punti 28‑31 della presente sentenza risulta che la eBay procede ad un trattamento dei dati forniti dai suoi clienti venditori. Le vendite alle quali possono condurre tali offerte avvengono secondo modalità fissate dalla eBay. Se necessario, la eBay fornisce anche un’assistenza diretta ad ottimizzare o a promuovere talune offerte in vendita.
    115 Come ha giustamente osservato il governo del Regno Unito, la mera circostanza che il gestore di un mercato online memorizzi sul proprio server le offerte in vendita, stabilisca le modalità del suo servizio, sia ricompensato per quest’ultimo e fornisca informazioni d’ordine generale ai propri clienti non può avere l’effetto di privarlo delle deroghe in materia di responsabilità previste dalla direttiva 2000/31 (v., per analogia, sentenza Google France e Google, cit. punto 116).
    116 Laddove, per contro, detto gestore abbia prestato un’assistenza consistente segnatamente nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi e nel promuovere tali offerte, si deve considerare che egli non ha occupato una posizione neutra tra il cliente venditore considerato e i potenziali acquirenti, ma che ha svolto un ruolo attivo atto a conferirgli una conoscenza o un controllo dei dati relativi a dette offerte. In tal caso non può avvalersi, riguardo a tali dati, della deroga in materia di responsabilità di cui all’art. 14 della direttiva 2000/31.
    117 Spetta al giudice del rinvio esaminare se la eBay abbia svolto un ruolo del tipo descritto nel punto precedente relativamente alle offerte in vendita di cui trattasi nella causa principale.
    118 Il giudice del rinvio, nell’ipotesi in cui dovesse concludere che la eBay non ha agito nel modo indicato al punto 116 della presente sentenza, dovrà verificare se, nelle circostanze di cui alla causa principale, detta impresa abbia soddisfatto le condizioni alle quali l’art. 14, n. 1, lett. a) e b), della direttiva 2000/31 assoggetta il beneficio della deroga in materia di responsabilità (v., per analogia, sentenza Google France e Google, cit., punto 120).
    119 Infatti, nella situazione in cui tale prestatore si è limitato ad un trattamento puramente tecnico ed automatico dei dati e di conseguenza gli è applicabile la norma di cui all’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, tuttavia, ai sensi del suddetto n. 1, egli può essere esonerato da qualsiasi responsabilità per i dati di natura illecita che ha memorizzato solo a condizione di non essere stato «effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita» e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, di non essere stato «al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione».
    120 Potendo la causa principale comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, compete al giudice del rinvio esaminare se la eBay sia stata, riguardo alle offerte in vendita di cui trattasi e nei limiti in cui queste ultime hanno arrecato pregiudizio a marchi della L’Oréal, «al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione». Con riferimento a quest’ultima circostanza, è sufficiente, affinché il prestatore di un servizio della società dell’informazione non possa fruire dell’esonero dalla responsabilità previsto all’art. 14 della direttiva 2000/31, che egli sia stato al corrente di fatti o di circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità di cui trattasi e agire in conformità del n. 1, lett. b), di detto art. 14.
    121 Inoltre, affinché non siano private del loro effetto utile, le norme enunciate all’art. 14, n. 1, lett. a), della direttiva 2000/31 devono essere interpretate nel senso che riguardano qualsiasi situazione nella quale il prestatore considerato viene ad essere, in qualunque modo, al corrente di tali fatti o circostanze.
    122 Sono quindi contemplate, segnatamente, la situazione in cui il gestore di un mercato online scopre l’esistenza di un’attività o di un’informazione illecite a seguito di un esame effettuato di propria iniziativa, nonché la situazione in cui gli sia notificata l’esistenza di un’attività o di un’informazione siffatte. In questo secondo caso, pur se, certamente, una notifica non può automaticamente far venire meno il beneficio dell’esonero dalla responsabilità previsto all’art. 14 della direttiva 2000/31 – stante il fatto che notifiche relative ad attività o informazioni che si asseriscono illecite possono rivelarsi insufficientemente precise e dimostrate –, resta pur sempre fatto che essa costituisce, di norma, un elemento di cui il giudice nazionale deve tener conto per valutare, alla luce delle informazioni così trasmesse al gestore, l’effettività della conoscenza da parte di quest’ultimo di fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità.
    123 Considerato quanto precede, la nona questione posta va risolta dichiarando che l’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31 deve essere interpretato nel senso che esso si applica al gestore di un mercato online qualora non abbia svolto un ruolo attivo che gli permette di avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati. Detto gestore svolge un ruolo siffatto allorché presta un’assistenza che consiste in particolare nell’ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi o nel promuoverle.
    124 Quando non ha svolto un ruolo attivo nel senso indicato al punto precedente e dunque la sua prestazione di servizio rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della direttiva 2000/31, il gestore di un mercato online, in una causa che può comportare una condanna al pagamento di un risarcimento dei danni, non può tuttavia avvalersi dell’esonero dalla responsabilità previsto nella suddetta disposizione qualora sia stato al corrente di fatti o circostanze in base ai quali un operatore diligente avrebbe dovuto constatare l’illiceità delle offerte in vendita di cui trattasi e, nell’ipotesi in cui ne sia stato al corrente, non abbia prontamente agito conformemente al n. 1, lett. b), del suddetto art. 14.
    125 Con la sua decima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 11 della direttiva 2004/48 esiga che gli Stati membri diano ai titolari di diritti di proprietà intellettuale la possibilità di far rivolgere al gestore di un sito Internet, quale il gestore di un mercato online mediante il quale sono stati lesi i loro diritti, ingiunzioni giudiziarie che impongano a tale gestore di adottare provvedimenti per prevenire future violazioni di tali diritti e, in caso di risposta affermativa, quali possano essere tali misure.
    144 Alla luce di quanto precede, occorre risolvere la decima questione posta dichiarando che l’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48 deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di far sì che gli organi giurisdizionali nazionali competenti in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale possano ingiungere al gestore di un mercato online di adottare provvedimenti che contribuiscano, non solo a far cessare le violazioni di tali diritti ad opera degli utenti di detto mercato, ma anche a prevenire nuove violazioni della stessa natura. Tali ingiunzioni devono essere effettive, proporzionate, dissuasive e non devono creare ostacoli al commercio legittimo.
    (fine virgolette)

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