Rapporto sull’economia del centro Einaudi: #digitanow 4,8 milioni tra disoccupati e inattivi. Serve progetto paese per chimica, informatica ed energia

Presentato il rapporto sull’economia dell’Italia dal Centro Einaudi (sul Sole di oggi in edicola)

La carenza di settori industriali hi-tech appesantisce la ripresa dell’Italia e ha posto prematuramente termine «al rimbalzo»; servirebbe un progetto Paese per tornare a recitare un ruolo nell’industria chimica, nell’informatica e nell’energia: Mario Deaglio, presentando il XVI Rapporto sull’Economia globale e l’Italia intitolato “La crisi che non passa”, promosso dal Centro Luigi Einaudi e da Ubi Banca

…«L’Italia ha detto il docente dell’università di Torino non può pensare di confrontarsi con i player globali soltanto con le borsette e il vino. Certo il problema non può risolverlo Monti, ma il Paese deve darsi delle priorità
..
il Rapporto si è soffermato sul “vero” numero di disoccupati in Italia costituito dai 2,1 milioni del dato Istat, più i 520mila cassintegrati e altri 2,2 milioni di “quasi” disoccupati: gli inattivi che lavorerebbero se trovassero un’occupazione

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5 thoughts on “Rapporto sull’economia del centro Einaudi: #digitanow 4,8 milioni tra disoccupati e inattivi. Serve progetto paese per chimica, informatica ed energia”

  1. il problema credo che sia a monte, ovvero paghiamo una duplice carenza: carenza nella capacità di programmazione e pianificazione economica 8carenza che ha sempre accompagnato ogni governo passato in italia); carenza nella capacità di “rischio”.
    quest’utlimo punto lo si vede nell’incapacità di imprenditori e banche di investire, anche tramite fondi di private equity e venture capital

  2. a proposito, rispondo qui a due suoi twitter (mi perdonerà, ma non uo twitter).
    lei ha detto (cito):
    “finché non si interiorizza che c’è una rivoluzione strutturale determinata dalla tecnologia, non si affronta correttamente presente e futuro”
    e poi ha detto: “i casini dei mutui subprime ci sarebbero stati con computer di 40 anni fa e senza reti ?”
    inizio dalla seconda citazione: francamente si. le crisi ci sono sempre state e la struttura è sempre al stessa: avidità che porta ad investire indebitandosi sempre più, fino a quando il sistema non diventa insostenibile, e chi cavalcava l’onda inizia a tirare i remi in barca. le consiglio a tal proposito il libro di john kenneth galbraith “breve storia dell’euforia finanziaria”. Molto sintetico, ma molto interessante.
    sul primo punto, ovvero la rivoluzione tecnologica ho avuto modo di esporre il mio pensiero qui: http://www.pierferdinandocasini.it/2011/08/04/tecnologia-e-societa-il-dialogo-necessario-per-superare-la-crisi/ in cui sostengo che il progresso tecnologico ha portato al punto di rottura il sistema sociale su cui ci siamo sempre basati.

  3. Ho letto l’intervento linkato, interessante ma non torna l’aritmetica: se lavoro 4 ore invece di 8, a parità di efficienza, produco la metà, quindi guadagno la metà… e non compro molto… non campo proprio…
    Tutto bello in teoria ma mi pare necessario un cambiamento radicale nella società e nel contesto economico.
    I prezzi dei beni dovrebbero riparametrarsi ad una popolazione che guadagna la metà, cioè dovrebbero costare la metà.
    E poi case pubbliche, lavoro ridistribuito etc.
    A parte che molti lavori “moderni”, quindi terziario avanzato etc, non sono così facili da distribuire (difficile fare i turni su un lavoro di relazioni, business development etc), ma non è un modello un po’… socialista?

  4. ma il punto è proprio la produttività…. con la tecnologia, il rapporto tra ore lavorate e produttività si è ingigantito enormemente… oggi, con 50 operai si producono grosso modo le stesse quantità di wafer al silicio che si producevano 15 anni fa usando 200 operai.
    Oggi, le banche hanno un enorme surplus di dipendenti (e non mi riferisco solo a Unicredit), perchè molte operazioni vengono svolte da casa tramite homebanking. QUel che lei dice (lavoro la metà, produco la metà), era vero fino ad alcuni anni fa, oggi non è più così.
    Ci si lamenta che pochi hanno ormai il 90% della ricchezza mondiale, quindi gli spazi per sistemare l’ambito retributivo ci sono.
    Poi, intendiamoci, io non ho detto che necessariamente si deve seguire quella via, ma che è una possibile soluzione… ma in goni caso, visto che il problema esiste, è bene iniziare a discuterne ora, prima che il problema si ingigantisca troppo.
    Lei parla di terziario…ma è anche vero che, escludendo pochi lavori (e a certi livelli), poi anche buona aprte del terziario potrebbe prestarsi ad una suddivisione del lavoro.
    Ripeto, non sto sposando una tesi in senso assoluto, ma mi preme che si inizi un dibattito. Io, lo dico chiaramente, non sono nessuno. non sono un sociologo, non sono un politico, non sono uno scienziato… però vedo certe cose e mi pongo certi quesiti e mi perplime vedere che persone ben più importanti non si pongano questo quesito.
    Infine, sig. fabio, le chiedo una cosa: secondo lei, sistemare questo “problema” non converrebbe anche a chi detiene i fattori di produzione? facendo un paragone con la crisi del 1929, questa volta, non si riesce ad uscirne perchè la ripresa si trasforma in una ripresa senza lavoro proprio per al tecnologia e per l’elevata rpoduttività…ma questo sistema quanto a lungo può reggersi?
    Non parlo di indignados, o di rivolte (che, cmq, un certo rischio c’è che avvengano), ma parlo di conveninenza… se la disoccupazione strutturale (intesa come fisiologica, secondo i dettami della politica economica classica), passa dal 5% al 10-15% non ci sarà anceh una minore richiesta di beni e servizi??? e non aumenteranno le tensioni sociali ocnq uello che comprota in termini di costi.
    nel 1929 si uscì dalla crisi, costurendo (sto banalizzandom olto, me ne rendo ocnto), ma oggi si può dire/fare lo stesso? I gironalisti che dicono che questa crisi è come quella el 29 dicono una mezza bugia: nel 1929 vi fu una caduta del pil di circa 40% e i disoccupati raggiunsero circa il 505 (parlo degli usa). oggi no, eppure si parla di crisi violenta…
    la produzione aumenta, ma non gli occupati, perchè?
    senza voelre sprofondare nel luddismo (ceh detesto) allorala mia soluzione è rivedere in maniera mondiale il mercato del lavoro e gli orari. Io sono convinto che se ci si riflette si potrebbero arrivare ad interessanti sviluppi.
    Mi perdoni se sono stato troppo prolisso e poco chiaro.

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