Un coordinatore dell’Executive opinion Survey del World Economic Forum ci spiega bene cos’è e come va inteso

Come sapete, sto pubblicando "a rate" alcuni degli indicatori del ranking di competitività del World Economic Forum; finora ho pubblicato : Disponibilità di venture capital, La sofisticazione del mercato finanziario, La disponibilità di tecnologie innovative, La quantità di brevettiI requisiti amministrativi.

Questi dati sono spesso sbattuti in prima pagina e vengono presentati come fatti oggettivi mentre, come ho già illustrato succintamente, sono misurazioni oggettive di opinioni.

I Proff. Francesco Saviozzi e Paola Dubini sono i coordinatori per l’Italia dell’Executive Opinion Survey del WEF  condotto in Italia dalla SDA Bocconi nell’ambito dell’Osservatorio Attrattività del Sistema Paese della SDA Bocconi

Francesco ha gentilmente trovato il tempo di scriverci due paginette su cosa sono e come vanno interpretati questi dati:

Il WEF e il ranking di competitività; guida alla lettura. 

Misurare la competitività dei sistemi paese è un’impresa complessa e ambiziosa. Il WEF (insieme a un numero ampio di altre istituzioni, OCSE, Unione Europea, Banca Mondiale, ecc.) se ne occupa dal ’79. Uno sforzo metodologico e di raccolta di dati e opinioni che coinvolge oltre 130 paesi e che una volta all’anno porta alla definizione di una classifica internazionale di competitività (sulla base del cosiddetto Global Competitiveness Index – GCI) presentata con un grande sforzo di comunicazione. Seguono 3-4 giorni di acceso dibattito politico; si sa, le graduatorie che confrontano i paesi a livello internazionale (indipendentemente da cosa viene misurato) innescano irrimediabilmente un clima da campionato di calcio.
L’Italia gravita abitualmente intorno al 45° posto, talvolta superata da nazioni “inaspettate” come il Botswana (capitò nel 2004); ancorché le nostre difficoltà nel confronto internazionale siano quantomeno percettibili, molti si interrogano sulle ragioni e sulla natura di tale posizionamento.
Come viene costruita questa classifica? Più in generale, quale è il significato che possiamo attribuire a questi risultati e come devono essere interpretati per riflettere criticamente sul tema  competitività dell’Italia?
Quattro domande/risposte per capirsi meglio.

Cosa viene misurato?
Il WEF identifica la competitività con il concetto di produttività (cito testualmente competitiveness as the set of institutions, policies, and factors that determine the level of productivity of a country), un parametro tendenzialmente orientato al breve termine, integrato con alcuni dati relativi al potenziale di crescita futura.
Il GCI sintetizza i risultati relativi a 12 pillars, suddivisi in tre macroaree:
1.    Fattori di base (Istituzioni, Infrastrutture, Macroeconomia, Salute e formazione primaria)
2.    Fattori di efficienza (Formazione secondaria, Efficienza dei mercati, Efficienza del mercato del lavoro, Efficienza dei mercati finanziari, predisposizione alla tecnologia, dimensione del mercato)
3.    Fattori di innovazione e sofisticazione (Sofisticazione dei modelli di business, Innovazione)
Il WEF applica pesi diversi alle tre aree in funzione dello stadio di sviluppo di un paese (determinato attraverso il PIL). L’Italia è inserita tra i paesi maggiormente sviluppati, che secondo l’assunto del WEF sono Innovation-driven; l’area dell’innovazione e sofisticazione è dunque valutata con un peso maggiore.

Cosa ci dice sull’Italia?
L’Italia al solito brilla per essere un paese “anomalo”. Se spulciamo i dati del WEF (2007-2008) scopriamo che il nostro paese non riesce a rientrare nelle posizioni “alte” della classifica soprattutto per la bassa qualità dei fattori di base (54°); ci affossano la stabilità macroeconomica (96°), la qualità delle istituzioni (71°) e delle infrastrutture (55°). Nella classifica dei fattori di efficienza siamo 39°; sul risultato incide la bassissima efficienza del mercato del lavoro (128°), il basso livello di sofisticazione dei mercati finanziari (86°) e l’efficienza del mercato dei beni (55°). L’innovazione è (inaspettatamente per alcuni) l’area in cui l’Italia viaggia meglio (32°), più per il livello di sofisticazione dei modelli business (24°) che per il livello di innovazione (47°). 
In breve, aspiriamo al bel gioco, ma ci mancano i fondamentali.

Come viene misurato?
Uno dei problemi maggiori nel misurare la competitività in contesti estremamente diversi tra loro – dagli Stati Uniti (1°) al Chad (131°) – è rilevare informazioni omogenee e dati confrontabili tra loro. Il WEF sviluppa l’indicatore di competitività attraverso 113 diverse variabili: 79 di queste (la maggior parte) derivano dalla somministrazione di un questionario a manager e imprenditori di rilievo nei diversi paesi attraverso istituzioni universitarie e di ricerca (in Italia, SDA Bocconi). Questa metodologia permette di superare il problema della raccolta dei dati, introduce tuttavia il rischio che le percezioni espresse siano influenzate da variabili esogene. 
Domanda: e se i manager del Botswana fossero più ottimisti dei nostri riguardo al loro paese in un dato momento? Rispetto a quale benchmark si sono espressi? Tutto ciò potrebbe avere un peso.

Come leggere questi risultati?
Se guardiamo alla dialettica della politica italiana, il ranking viene prevalentemente utilizzato – e banalizzato, al pari di altri dati ciclicamente pubblicati – dalle opposte fazioni politiche per dimostrare, ognuna per proprio conto, il successo o l’insuccesso dell’azione di governo. Il dibattito sfiora solo raramente il tema delle determinanti, nonostante il Global Competitiveness Report (un corposo volume di oltre 500 pagine in cui viene pubblicato il ranking), conceda spazi di approfondimento sulla natura dei posizionamenti.
L’idea di confrontare in graduatoria oltre 130 paesi è certamente affascinante (e si sposa con i dettami della comunicazione); tuttavia, mettere sul medesimo piano Svizzera (2°), Indonesia (51°) e Zimbabwe (129°), paesi con modelli e stadi di sviluppo notevolmente diversi, quanto è significativo per riflettere concretamente sulla competitività di un paese? 
È indubbio che Il ranking debba essere considerato soprattutto leva di sensibilizzazione dell’opinione pubblica per un dialogo costruttivo sul tema e strumento per rilevare alcune tendenze in atto nello scacchiere internazionale (es. la Corea che nel 2007 fa un salto dal 23° al 11° posto), piuttosto che riferimento chiave per la definizione delle linee di intervento da parte del policy maker.
Per questo oggi non ha molto senso discutere sul perché il Botswana talvolta ci superi. Ma sul perché l’Italia non graviti stabilmente all’interno dei primi 20 posti della classifica. 

Per un ulteriore approfondimento vi consiglio la lettura dell’articolo su E&M di Paola Dubini.

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2 thoughts on “Un coordinatore dell’Executive opinion Survey del World Economic Forum ci spiega bene cos’è e come va inteso”

  1. Roberto Mastropasqua

    caro Stefano, ho visto oggi sul tuo blog la descrizione della metodologia del WEF
    Tutto correttissimo. Per quello che ne so(e che a mio parere spiega certi risultati) aggiungerei un paio di note sulla metodologia ovvero che: 1) ai rispondenti è somministrato un questionario molto ampio, probabilmente troppo esteso per essere compilato con la stessa attenzione in tutte le sue parti, 2) nel questionario si chiedono opinioni su tutto a tutti i rispondenti, ovvero senza distinguere se il singolo rispondente è intitolato o no ad esprimere un’opinione sul tema e quindi risponde esprimendo un giudizio basato sui fatti o sono solo le sue opinioni, costruite non si sa come; 3) le percentuali di risposta credo siano troppo basse per avere una qualche significatività, npon solo statistica ma anche a buon senso.
    Dico questo perchè all’inizioo del 2006 partecipai ad un incontro convocato dal Ministro Stanca (DIT) con il WEF, al quale furono invitati alcuni analisti e consulenti (oltre che la Prof.ssa Dubini della SDA Bocconi) proprio per discutere della metodologia adottata. Si seppe che dei 4000 questionari allora inviati (che contenevano la bellezza di 180 domande !!) ne ritonarono e furono elaborati 96 (il 2,4%): a costoro spettò il compito di spiegare al mondo cos’è l’Italia. Con tutto il rispetto, probabilmente pochi.
    Ciao
    Roberto

  2. Francesco Saviozzi

    Caro Roberto,
    credo che il tuo commento raccolga il senso del mio intervento.
    La metodologia è per definizione migliorabile – e il WEF sta lavorando in questo senso introducendo piccole innovazioni di anno in anno; alcuni ostacoli sono comunque difficilmente superabili quando si prova a sintetizzare e analizzare un fenomeno così complesso su contesti così diversi.
    L’obiettivo tuttavia non è (solo) quello di individuare la metodologia migliore per misurare la competitività, ma di riuscire a valorizzare i diversi contributi che emergono dagli studi delle numerose istituzioni che svolgono ricerche di questo genere per costruire l’agenda del policy maker.
    Da qui la necessità dunque di non fermarsi al mero dibattito sulla posizione in classifica dell’Italia, ma di comprendere la natura e le ragioni del posizionamento (comprese quelle di carattere metodologico) e cogliere alcuni segnali di rilievo, in breve “saper leggere” il ranking.
    Francesco

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