2008.03.14 La politica e la banda larga – Carlo Scarpa

C’era una volta il piano industriale di Telecom Italia. Forse non era gran che, ma c’era. Una delle note delicate della relazione di Telecom Italia sul 2007 e sulle prospettive future è proprio l’aver messo in secondo piano quello che forse (forse) per gli azionisti non è il tema di maggiore immediata preoccupazione, ma che per il paese riveste senza dubbio la maggiore importanza: la costruzione della rete di nuovissima generazione (il next generation network, NGN2). L’accento della relazione Telecom è sui risparmi più che sull’espansione. Intendiamoci, questo è più che rispettabile da parte dell’impresa, i cui amministratori hanno detto la verità e sono stati penalizzati dal mercato ma questa è un’altra storia.
Il punto che mi preme sottolineare è quello degli investimenti sulla nuova rete, che un anno fa erano al centro del dibattito. Il problema "a monte" è l’assetto della rete di Telecom Italia. Scorporo o no? Cessione? Condivisione (della proprietà)? Le incertezze regolatorie a riguardo si intrecciano con una (almeno apparente) mancanza di decisioni definitive da parte degli azionisti di controllo.
Ma se l’incertezza che ruota attorno alla rete oggi esistente ha una rilevanza soprattutto per lo sviluppo della concorrenza, questo ha conseguenze senza dubbioÊ peggiori, almeno potenzialmente, sugli investimenti.
Si è cominciato il lavoro sulla cosiddetta rete della prossima generazione, in fibra, che dovrebbe aumentare in modo esponenziale la capacità di trasmissione dati, consentendo alle imprese nuove funzionalità e ai consumatori maggiori possibilità di utilizzo (il settore entertainment, ma non solo).
Ma ciò richiede grandi investimenti. L’anno scorso ne venivano annunciati 6,5 miliardi nei prossimi 5-10 anni, e probabilmente per un progetto comunque poco ambizioso.
Portare la fibra a tutti i consumatori può significare tante cose: portarla fino agli appartamenti? O solo a piano terra? O alla cabina di quartiere?
La differenza è notevole: se gli ultimi metri fossero con tecnologie tradizionali, questo potrebbe rallentare la rete e farle perdere di efficacia in misura considerevole.
Il piano di Telecom Italia era un mix di queste cose. Secondo diversi osservatori, al paese servirebbe invece un piano che punti a portare la fibra direttamente nelle case, un piano ovviamente molto più costoso di quello originariamente concepito da Telecom Italia.
Oltre tutto, quest’anno gli amministratori hanno posto l’accento sui risparmi di costi operativi e di investimenti, e non è chiarissimo che ne sarà del progetto NGN2. Probabilmente, anche l’incertezza sulla rete interferisce con la propensione di Telecom Italia a investirvi: se non si è sicuri di volere una rete integrata, o se gli altri operatori ti consentiranno di tenerla, è chiaro che la propensione a investire non aumenta.
é forse un problema per Telecom Italia, ma lo è soprattutto per il paese.
Purtroppo, la politica italiana non si è ancora pronunciata su quale rete di telecomunicazioni si desidera per il paese. Si tratta di una questione "Politica" nel senso più puro, con la "P" maiuscola, e la totale assenza del tema dalla campagna elettorale colpisce negativamente.
Forse la rete di Tlc è meno "glamour" di altre cose, su questi investimenti si farà meno clientela che su ponti o ferrovie, ma è anche più importante.
Nella primavera scorsa in Australia quello della rete di nuova generazione era uno dei due-tre temi caldi della campagna elettorale, insieme alla presenza militare in Iraq e alla questione aborigena.
Di recente, il governo indiano ha annunciato un progetto ambiziosissimo per connettere centinaia di milioni di cittadini indiani alla banda larga.
In Italia non siamo ai livelli dell’India, ma non siamo certo all’avanguardia. Perchè da noi chi si pone obiettivi di modernizzazione del paese non dice cosa si dovrebbe fare?
Oltre tutto, credo che anche Telecom Italia sarebbe lieta di avere un interlocutore politico con idee esplicite. Perchè nel momento in cui si decidesse cosa si vuole per la rete di telecomunicazioni del nostro paese, si potrebbe anche ragionare seriamente sulla rete, fare qualche valutazione su chi paga per cosa, e così via.
Probabilmente, all’Italia serve un piano più ambizioso di quello di TI. E se ci fosse consenso politico, si potrebbe costruire insieme alle imprese un progetto migliore, e porre la questione del "chi paga". Su questa strada le alternative sono tante.
Si potrebbe, giusto per elencarne alcune, (i) stanziare fondi pubblici per la differenza tra quanto vuol fare TI e quanto si ritiene necessario oppure (ii) spingere le imprese del settore a unire le forze per condividere il nuovo investimento, oppure (iii) imporre un obbligo in capo a TI e finanziarne il costo tramite tariffe di accesso alla rete che tengano conto dell’extra costo, oppure esplorare strade finanziariamente più innovative.
Di sicuro, il mondo politico nazionale non può continuare a eludere la questione. Telecom Italia presta attenzione, giustamente, ai suoi problemi finanziari e, come tutte le imprese private, ai suoi interessi.
Dica il mondo politico nazionale se gli interessi del paese coincidono con quelli della società, o se serve altro. E lo dica con i tempi del settore, non con quelli da dinosauro della vecchia politica italiana.

*ordinario di Economia politica
Università di Brescia