Il mondo nuovo

Non ci possono essere scorciatoie. La dematerializzazione ci obbliga a confrontarci con nuove, frammentate ed aumentate complessità.

Le licenze Creative Commons si basano sull’esistenza del diritto d’autore e introducono dei nuovi punti di equilibrio tra “tutti i diritti riservati” e “nessun diritto riservato”, introducendo delle declinazioni con “alcuni diritti riservati”.

La remunerazione dell’opera dell’ingegno è essenziale per lo sviluppo; io lo vedo come un fattore di fiducia nel futuro perché le risorse immateriali sono illimitate, a differenza di materie prime ed energia (che in particolare, in Italia, non abbiamo). Tutti noi cosiddetti “lavoratori della conoscenza” abbiamo risorse illimitate su cui costruire:  la nostra immaginazione e fantasia.

L’organizzazione sociale ed economica del mondo si è evoluta lentamente, da 10.000 anni fino alle forme attuali, da quando l’uomo è diventato stanziale  con l’invenzione dell’agricoltura. Ciascuno di noi  conosce perfettamente le dipendenze tra ogni entità del mondo fisico e potrebbe scrivere un saggio di migliaia di pagine su ogni argomento, ad esempio sulle catene di valore relative ai pomodori (coltivazione, raccolta, flussi migratori,  macchine agricole, carburanti, fertilizzanti, brevetti, prodotti derivati, trasporti, distribuzione, sistema finanziario, pubblicità, ecc.). Tutte queste dipendenze e relazioni economiche ci sono talmente note da non essere nemmeno più evidenti.

L’internet always on ha cambiato il mondo rapidamente, nel giro di 10 anni (le prime ADSL sono del 2001) abilitando in modo determinante fenomeni quali il boom delle linee aeree low cost, la concentrazione della manifattura in Cina, sviluppi scientifici acceleratissimi, diffusione di competenze tecnologiche, eventi  e fenomeni  di massa nati dal basso senza mass-media, Wikileaks, il boom del commercio planetario, la delocalizzazione del lavoro di concetto, ecc.

Prima di internet per avere un manuale che spiegasse le Media Control Interface di Microsoft occorreva che qualcuno andasse  negli USA, in una libreria specializzata e comprasse un volume per portarlo in Italia, dove sarebbe giunto quasi obsoleto. Con i gruppi di Usenet (pre-www) era possibile comunicare direttamente con le persone di Microsoft che stavano sviluppandole, interagendo nottetempo. La mia piccolissima società dell’epoca aveva un vantaggio competitivo enorme rispetto al grande gruppo internazionale che funzionava ancora con manuali fisici. Per questo, pensavo allora, tutti avrebbero voluto internet e per questo con i miei colleghi abbiamo fatto il primo internet provider business in Italia, poi quotato alla Borsa di Milano.

Le differenze tra l’economia materiale che conosciamo molto bene e quella totalmente immateriale in cui sguazziamo da soli 10 anni, sono profonde.

Nel mondo fisico produrre costa, riprodurre costa, trasferire costa, trasferire richiede tempo, immagazzinare costa, manipolare costa, i ritorni sono decrescenti (lo sappiamo da qualche secolo). Nel mondo immateriale produrre costa ma il resto delle attività hanno un costo marginale sostanzialmente nullo e solo dal 1994 Brian Arthur ha studiato i ritorni decrescenti e la “path dependence” nell’economia.

Non ci sono scorciatoie, non si può pensare che nulla sia cambiato quando le regole di base sono radicalmente diverse.

Abbiamo sempre regolamentato l’immateriale regolamentando gli aspetti fisici dei supporti che contenevano il bene immateriale. In produzione o in distribuzione, da qualche parte, c’era un bene fisico e lì c’era un valico, una strettoia dove operare il controllo.

Già nell’era pre-internet il trading dei diritti,anche se avveniva  tra pochi soggetti controllati e controllabili, è stato regolato con modesta efficacia se è vero, come sostiene Vito Tanzi (ex Direttore degli Affari Fiscali del Fondo Monetario Internazionale) che il trading internazionale intra-company è una termite fiscale che erode la capacità impositiva fiscale degli Stati.

A maggior ragione questi sistemi, concepiti ed implementati in un modo predi gitale, non possono reggere in uno scenario in cui internet abilita ciascuno di noi al ruolo alternativo di produttore, intermediario o consumatore di beni digitali.

Non ci sono scorciatoie; occorre una riflessione profonda perché il mondo non è più lo stesso per regole economiche di base e quantità di soggetti coinvolti.

Che poi, a ben vedere, internet è un effetto e non la causa di tutto ciò. E’ un effetto dello sviluppo dell’elettronica che è inarrestabile e di cui si sanno già oggi le potenzialità dei prodotti e dei sistemi che i consumatori avranno a disposizione tra 10 anni. Pensare di resistervi è futile.

I temi che si intersecano sono numerosi e vanno dalla dignità della persona, alla privacy, alla libertà di espressione, alla remunerazione delle opere dell’ingegno, agli strumenti di pagamento, ai principi antitrust, alle regolamentazioni bancarie.

La fisica fornisce le sostanze di base e Internet è il solvente che distrugge le barriere che tenevano relativamente separati tutti questi aspetti.

I soggetti coinvolti (“stakeholder”) per trovare un punto di equilibrio “a prova di futuro”  sono tanti e certamente tanti sono, tra loro, quelli convinti che la sanzione sia il soma che ci consente di comportarci come nei bei tempi andati, che basti dare qualche punizione esemplare a qualche ragazzino e/o ispezionare tutte le comunicazioni digitali di chiunque. (cosa che rapidamente  causerebbe la cifratura delle comunicazioni degli utenti).

Come si declinano i diritti, che nel mondo fisico sono consolidati da decenni, in un nuovo mondo immateriale ? Siamo certi che sia tutto chiaro ed efficiente, o piuttosto che occorra fare una riflessione anche su questo ?

Qualche mese fa mia figlia di dieci anni mi chiedeva come doveva fare per prestare ad una sua compagna un ebook, dato che le aveva prestato il cartaceo del numero precedente della saga di Harry Potter. Come può una bambinetta, nella sua ingenuità, capire la sottile distinzione dei grandi per cui un gesto è commendevole, e l’altro invece la rende una ladra ? (non parliamo se lo avesse voluto regalare …)

Eppure mia figlia non ruberebbe un lecca-lecca, figuriamoci una borsetta! Però un suo tale comportamento andrebbe ad incrementare le statistiche dei “furti” all’industria dell’intrattenimento dai pirati digitali.

Guardate i vostri figli. Molto spesso i novelli “Pirati dei Caraibi” sono loro.

Non ci possono essere scorciatoie, bisogna pensare a nuovi modi e procedure, rispettose dei diritti di ciascuno. Quelli sacrosanti di chi vede terzi lucrare indebitamente del proprio lavoro; quelli di chi produce e distribuisce i propri elaborati e se li vede indebitamente rimossi; quelli  di chi i beni immateriali li fruiscono e ai quali, con la digitalizzazione, alcuni stanno sottraendo molti diritti (come il diritto a prestarsi  un libro).

Personalmente penso che sia un tema complesso, con risvolti profondi e che banalizzarlo pensando solo a provvedimenti sanzionatori per via amministrativa sia una scorciatoia. Certamente è necessaria una procedura sanzionatoria di illeciti che deve salvaguardare i diritti di tutti, come dicevo sopra. Persino nel DMCA vi è un meccanismo strutturale di garanzia per gli utenti, ovvero il giuramento che deve fare il titolare dei diritti che lo espone a conseguenze penali in caso di abusi.

A mio avviso la bozza prevista da AGCOM, trascurando il possibile difetto di potere cui mi pare persino il Presidente Calabrò abbia accennato nella relazione annuale al Parlamento, è decisamente migliorabile.

Ho seri dubbi che una simile procedura potrebbe essere adottata in altri paesi. Certamente non in USA.

Lo stimolo del mercato legale è un altro grande assente nella bozza di regolamento AGCOM.

Ma non si può solo criticare, occorre anche essere propositivi.

Una piccola ricetta da proporre la avrei. Una ricetta elaborata con un gruppo di esperti (appartenenti a tutte le categorie di stakeholder) nel corso di anni di lavoro pubblico, aperto, non retribuito. Un gruppo capitanato da Leonardo Chiariglione, il fondatore e presidente di quel comitato MPEG che, partendo dall’evoluzione dell’elettronica, ha messo d’accordo tutto il mondo creando mercati quali CD, DVD, TV Digitale, MP3, Mpeg4, ecc. (ma non siamo riusciti a mettere d’accordo stakeholder ed autorità italiane).

E’ una ricetta tutto sommato semplice che cerca di aiutare le persone oneste a restare oneste.

In estrema sintesi dice che i beni digitali devono essere interoperabili e così anche i sistemi di pagamento online.

Sembra complesso ma vuol dire che

  • i beni digitali devono essere ottenibili e  fruibili su ogni dispositivo : per evitare abusi e creazione di monopoli se chi fornisce il contenuto è lo stesso soggetto che gestisce la rete di distribuzione o che produce l’hardware
  • ogni bene digitale si deve portare dietro la propria licenza d’uso: così si può sapere se è un Creative Commons, o una copia privata di qualcuno o un oggetto venduto da qualcuno o un oggetto nel pubblico dominio, ecc..

Questo sistema consente anche di attribuire correttamente i ricavi a chi spettano, anche nel caso di licenze collettive. Infatti seppure le licenze collettive facilitano la vita al cliente per mettersi in regola pagando il dovuto, meno immediato per chi incassa redistribuire il ricavato a chi spetta.

Questa apertura, questa trasparenza piacerà a chi, a dispetto delle norme generali, detiene il monopolio della raccolta dei diritti ? o a chi cerca una lucrosa fidelizzazione forzata dell’utente grazie all’integrazione verticale tra contenuto e dispositivo o tra contenuto e canale di distribuzione ? o a chi nelle aree di incertezza può sguazzare per fini anche poco nobili ?

Giudicate voi. Io penso che sarebbe bene per i nostri figli.

Pubblicato anche su Agoravox, Peace reporter, Medialaws  (pls segnalatemi eventuali ripubblicazioni…)

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20 thoughts on “Il mondo nuovo”

  1. a quanto ho capito (correggimi se sbaglio, per piacere) è la certezza della pena a far calare i reati, e non la gravità. Se anche avessimo leggi migliorim con la latenza e l’aleatorietà attuali dubito avremmo risultati per i figli…

  2. Gigi Tagliapietra

    Ottimo post, Stefano.
    Un testo da far studiare in tutti i licei e le università e a tutti i giornalisti che non stanno capendo qual’è il vero nocciolo della questione.

  3. Concordo in pieno. Forse possiamo fare un primo passo (forse piccolo ma a mio avviso importante) dicendo un foorte NO a tutte quelle strumentalizzazioni, di qualunque colore siano, che in questi giorni stanno popolando i giornali e le telvisioni sull’argomento in questione.
    Parto dal presupposto che, in questo caso soprattutto, la strumentalizzazione si porta appresso la banalizzazione di questo problema, che invece banale non è affatto.
    Fino a quando si riduce ad un ‘problemino di pochi’ la questione, come si sente dire in giro, non sarà possibile vederla affrontare seriamente, come invece suggerisci giustamente tu.

  4. Impeccabile.
    Perché secondo te siamo lontani anche solo dall’avviare un percorso che porti verso il mondo che prefiguro? Quali sono gli stakeholder che devono farlo partire, e quali quelli che lo ostacolano? Perché se capissimo cosa ci separa dal mondo “imperfetto” attuale a quello “perfetto” che disegni, potremmo concentrare gli sforzi sui punti critici del sistema per sbloccarlo, trovando quelli che in chimica chiamano i catalizzatori.

  5. sottoscrivo completamente. il problema è che si accentua sempre più una tendenza manichea nel dibattito sulla questione: pro e contro usano ormai le stesse armi retoriche basate sull’esagerazione, sulla radicalizzazione dell’opposizione e in fin dei conti sulla mistificazione e sull’ignoranza. Da una parte si continua a equiparare un mancato acquisto con un furto, a non tenere in considerazione la differenza tra un bene materiale e uno digitale; dall’altra si paventa il blocco di YouTube come se fosse imminente (e non lo è per il semplice motivo che YT usa già le policy che Agcom vuole estendere a tutti i siti)
    A me sembra questo il problema più grave e da risolvere al più presto. i professionisti dell’informazione – forse per fretta forse perchè il tema è davvero complesso – non stanno dando un grosso contributo e se si finisce nel tritacarne della polemica sorda alle ragioni altrui non ne uscirà nulla di buono. Se si ceffa la definizione del problema si ceffa di sicuro anche la soluzione…

  6. Preciso e tagliente come un rasoio.
    Impossibile vivere e fare parte di questo mondo e non essere pienamente d’accordo.
    Grazie Stefano, ho inoltrato il link a tutti i giovani che conosco
    😉

  7. Grazie per le belle parole.
    Mi scrive un amico giornalista : “Ti confesso che sono un po’ impreparato sul tema. Non amo l’ideologia per cui ogni regola è una censura, ma trovo l’ipotesi della chiusura dei siti a priori totalmente illiberale. Il problema è che non sta nascendo un serio diritto della rete con seri giuristi. no?”
    Ho risposto come segue (che in realtà, IMHO, potrebbe essere un framework per iniziare un percorso equilibrato):
    il problema è che la dematerializzazione introduce una discontinuita e diritti acquisiti vacillano.
    Da una parte dicono “tutto riservato, il resto non conta”
    Dall’altra dicono “libere utilizzazioni, il resto non conta”.
    I primi dicono solo bastone, i secondi dicono sono cavoli vostri.
    Copia privata, prestito, cessione (usato), parodia, critica, citazione, riproduzione in privato, (la stessa definizione di “privato” online (e non nel fisico)) sono (alcuni) dei diritti che vanno rivisti e garantiti. Senza questi, il solo bastone, bastona anche mia figlia e la fa diventare una ladra (penale) per una cosa che nel fisico è invece assolutamente lecita.
    Qualche venditore di ebook si è inventato il “prestito” sul suo reader:se passo il libro a te, io non lo posso leggere fino a quando tu non smetti.
    Piccolo problema: funziona solo con i loro libri e loro lo fanno solo per stimolare lockin ed effetto rete (cosa che, se sono dominanti, è un abuso antitrust, di certo non e’ pro mercato):occorrebbe una norma che assicuri l’interoperabilità…

  8. Inutile dire che convengo parola per parola. Il problema è che abbracciare una tematica del genere ed estrarne una legislazione al passo coi tempi richiederebbe una politica forte. Al contrario l’impressione – e la delibera AGCOM è solo l’ultimo degli esempi in tal senso – è che la politica sia divenuta ormai da anni la longa manus di poteri lobbistici, per giunta – ed è quel che è più patetico – di dimensioni economiche ormai anche trascurabili.
    Giunti a questo punto, supporre che con le armi della ragione si possa raddrizzare questa stortura è puro “wishful thinking”, o forse uno scambiare gli effetti con le cause. Perché se il lobbismo ha sostituito il primato della politica, lo si deve ad una classe dirigente i cui orizzonti di visione si sono via via ristretti al minimo indispensabile per garantire la sua stessa sopravvivenza. La libertà, apertura, neutralità della rete non è funzionale alla sopravvivenza di questa classe dirigente più di quanto non lo sia il colore degli autobus di Roma.
    E forse, perdonami la conclusione luddista, sono proprio i mass media, sempre più pervasivi, sempre più real-time, ad aver azzerato la visione di lungo termine, ad aver creato questo mercimonio del consenso di breve gittata e questa forza persuasoria ineludibile (sempre utile per far inghiottire al popolo pillole indigeste) che sono gli unici salvagenti rimasti a tenere a galla il potere.
    Vorrei essere più costruttivo ma dopo aver visto la Ghezzi fra i sostenitori dell’appello SIAE (mentre sul sito della fondazione De Andrè campeggia la A di anarchia), non ce la faccio proprio 🙁

  9. Gianluca Gilardi

    Bellissimo contributo, grazie per averlo condiviso.
    Settimana prossima mi hanno chiesto di presenziare ad una tavola rotonda sugli “IPRs in open neworks” e nuovi modelli di condivisione della conoscenza. Se non ti dispiace attingerei spudoratamente alle Tue riflessioni (citando e lodando ampiamente la fonte, ça va sans dire 🙂 ).

  10. @alessio: re. lautoinduzione della leggerezza, osservazione interessante. temo tu abbia ragione.
    @gianluca: reprint e re-talk freely! (anzi, welcome!)
    @luca: il tempo e tiranno… (e da aprile non ne sono padrone..) pls, se mi scrivi su cose puntuali rispondo (con un po di latenza ma rispondo)

  11. Luca Giammattei

    alcune considerazioni che sono venute fuori:
    1) dove tu dici:”Nel mondo fisico produrre costa, riprodurre costa, trasferire costa, trasferire richiede tempo, immagazzinare costa, manipolare costa, i ritorni sono decrescenti (lo sappiamo da qualche secolo). Nel mondo immateriale produrre costa ma il resto delle attività hanno un costo marginale sostanzialmente nullo e solo dal 1994 Brian Arthur ha studiato i ritorni decrescenti e la “path dependence” nell’economia.”;
    si obietta che anche l’immateriale ha costi di manutenzione sostenuti e crescenti nel tempo. Lo storage obsolesce e costa, i formati obsolescono e costano, il trasferimento di formati (leggi migrazioni dati) costano
    sempre di più in base al tempo. la manipolazione di un contenuto costa uguale sul digitale e sul non digitale (deriva dal contenuto stesso e non dal mezzo).
    2) Sul punto della tua proposta (che credo viene fuori da dmin) e specialmente:”ogni bene digitale si deve portare dietro la propria licenza d’uso: così si può sapere se è un Creative Commons, o una copia privata di qualcuno o un oggetto venduto da qualcuno o un oggetto nel pubblico dominio, ecc.. “.
    Come trattare quei contenuti (come ad esempio il tuo stesso post) che non portano con se alcuna licenza d’uso, vanno esclusi a priori da qualsiasi tutela? vanno ricompresi nel massimo grado di tutela? quale il valore di default della tutela da applicare? Dobbiamo tagliare fuori chi possiede contenuti non marcati? O li
    consideriamo liberi?

  12. @Luca:
    1) lo 0 non esiste in natura. quando dico “sostanzialmente nullo” significa molti ordini di grandezza in meno, comunque tale da cambiarne la struttura economica e ridisegnare il mercato. Es: se un panino al prosciutto costa 10 euro e 1 ora di lavoro di una persona 8, il mercato,. il sistema di distribuzione e’ di un tipo. se il panino costa 1 centesimo e l’ora di lavoro costa 40, ne viene fuori un mercato diverso. Nel merito del bene informativo, pensa al costo di sell-in per bit di un LP (analogico) e di un MP3. ci sono una decina di ordini di grandezaz di differenza
    2) perche’ non devono essere marcati ? ogni file ha già dei tag ch evengono inseriti dai sistemi con cui vengono prodotti che sono le sue proprietà. il default è stabilito per legge ed oggi è “tutti i diritti riservati”. questo cmq. può essere argomento di discussione ma non piu’ di tanto, discendendo da trattat internazionali per molti anni resterà cosi’.

  13. Marco Locatelli

    Le premesse sono condivisibili e ben formulate. Mi ci trovo a mio agio.
    La proposta è formalmente corretta ma in pratica irrealizzabile, nel voler mettere d’accordo i vari stakeholder. Non si riescono ad uniformare le leggi in Europa. I treni viaggiano a tensioni differenti. Il telepass non passa le alpi. Per 1000 motivi che tutti abbiamo visto più volte: gelosia, paura, incompetenza.
    Non solo da un punto di vista del protocolo informatico ma soprattutto delle regole che il protocollo deve implementare, dei dettagli scritti nelle regole.
    Il mio timore, che in un periodo dove vogliono venderci a tutti i costi il concetto di “recessione” (che è la recessione?) è che qualcuno prenda spunto da qualche evento di per sè tanto eclatante che insignificante allo stesso tempo e faccia passa norme sempre più restrittive. Pro domo sua.

  14. Ti faccio solo un esempio che riguarda le case discografiche e YouTube.
    Fino a qualche tempo fa l’antipirateria veniva contattata per rimuovere i videoclip non autorizzati o per rimuovere i brani musicali utilizzati per sincronizzazioni di video UGC.
    Ora eè prassi consolidata monetizzare gli utilizzi di clip o sincero sui video UGC.
    Mi sembra un’interessante evoluzione della quale, ovviamente, nel dibattito sulla chiusura di internet da parte di Agcom non si è parlato mai.
    Quanti sanno che YouTube è il secondo cliente dopo ITunes di molte major discografiche ?

  15. Ovviamente parlavo di sincro dei video e non sincero ma sto delirante sistema del suggerimento della parola sull’ipad quando sei in movimento ti frega…

  16. L’ottimo esempio che hai fatto di tua figlia e del libro, mi ha fatto tornare in mente un post che ho scritto un paio di settimane fa su Libertiamo in replica ad un articolo sulla NN http://www.libertiamo.it/2011/06/18/we-dont-need-net-neutrality-letter-to-neelie-kroes
    In Rete devono valere gli stessi diritti civili che esistono nella realtà, per cui se io compro un libro, un CD, un DVD o un videogame devo essere libero di poterlo prestare o regalare a chi mi pare, senza neppure dover rendere conto a nessuno. Neppure se l’ho comprato in forma digitale perché è qua che la marcatura rischia di diventare un problema di privacy.
    Altro punto che volevo sottolineare è dove giustamente dici che il default è stabilito per legge ed oggi è “tutti i diritti riservati” e che questo è vincolato da trattati internazionali, ma non è detto però che ciò debba essere immutabile, anche perché la durata temporale è veramente anacronistica e buon senso vorrebbe che fosse equiparata quanto meno a quella dei brevetti (peraltro anche quella è troppo alta), non ho mai sentito nessuno argomentare cose convincenti per giustificare questa disparità di tutela, ma la Convenzione di Berna prevede le eccezioni ed è su quel tema che si dovrebbe lavorare, facendo distinzione tra la divulgazione commerciale e quella senza scopo di lucro.
    Voler mantenere la sperequazione temporale della tutela e tutti i diritti riservati sta producendo una rivolta sociale che rischia, anche se non nel brevissimo periodo, di portare alla totale all’abolizione del copyright o comunque a non far sentire come moralmente illegittima la violazione delle normative a tutela di questo monopolio, provocando rigetto verso gli autori e l’industria dell’intrattenimento, ma soprattutto nei confronti della classe politica che si prostra in favore di quest’ultima. Gli autori/artisti sono già una categoria privilegiata che gode di ottimi profitti, pretendere anche il privilegio della tutela commerciale per tutta la vita e per 70 anni ai loro eredi è una cosa che pochi sanno, altrimenti la massa critica sarebbe ancora più forte, e quando fanno campagne contro il P2P dovrebbero almeno avere la faccia di dire anche questo.

  17. Si potrebbe avere la definizione di “BENE” e di “BENE DIGITALE” e dei termini usati in questa definizione, tra cui suppongo ci sia “VALORE”?
    Perchè secondo me sono in pochi che sanno da dove arriva il valore, ovvero dal bisogno e dal desiderio, che possono solo aumentare quando si tutela il valore.

  18. Grazie Stefano per aver messo un’ altro mattone a disposizione della comprensione di questo problema, il dibattito è serrato, molto di piu’ dell’ interesse della politica all’ argomento.
    Personalmente penso che un’ educazione alla legalità possa essere molto utile.
    Mi permetto di riprendere una osservazione di Dillig:
    “Gli autori/artisti sono già una categoria privilegiata che gode di ottimi profitti, pretendere anche il privilegio della tutela commerciale per tutta la vita e per 70 anni ai loro eredi è una cosa che pochi sanno, altrimenti la massa critica sarebbe ancora più forte, e quando fanno campagne contro il P2P dovrebbero almeno avere la faccia di dire anche questo.”
    Non so a quali autori/artisti si riferisca, personalmente opero nel settore musicale e questi privilegiati esistono di sicuro ma per uno che gode ce ne sono 1000 che penano, sicuramente è una convinzione sbagliata e non dobbiamo generalizzare. Spesso chi dovrebbe tutelare il diritto in Italia è anche il primo che crea regole che avvantaggiano i forti a scapito dei piu’ deboli.
    Invito Dillig a visionare la seppur vecchia ma, ahime’, sempre attuale trasmissione di Report sulla SIAE in Italia (http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-52fcc1de-37ce-4f9c-961c-a67408c02ee0.html).
    Anche la lettura del capitolo dedicato alla SIAE del libro di Franco Fabbri,Il suono in cui viviamo (Milano, Feltrinelli, 1996, pagg. 202)puo’ dare un’ idea di come il privilegio di pochi puo’ mettere in ginocchio una intera categoria .
    Grazie e scusate la lungaggine.

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