Faema: se usi questa macchina del caffè per farli e venderli, ci devi dare una percentuale degli incassi

(come se)

(Grazie G)

venomous porridge – The Unprecedented Audacity of the iBooks Author EULA.

But if you look at the end-user license agreement (EULA) for iBooks Author, accessible via the app’s About box, the following bold note appears at the top:

IMPORTANT NOTE:
If you charge a fee for any book or other work you generate using this software (a “Work”), you may only sell or distribute such Work through Apple (e.g., through the iBookstore) and such distribution will be subject to a separate agreement with Apple.

And in section 2:

B. Distribution of your Work. As a condition of this License and provided you are in compliance with its terms, your Work may be distributed as follows:
(i) if your Work is provided for free (at no charge), you may distribute the Work by any available means;
(ii) if your Work is provided for a fee (including as part of any subscription-based product or service), you may only distribute the Work through Apple and such distribution is subject to the following limitations and conditions: (a) you will be required to enter into a separate written agreement with Apple (or an Apple affiliate or subsidiary) before any commercial distribution of your Work may take place; and (b) Apple may determine for any reason and in its sole discretion not to select your Work for distribution.

In other words: Apple is trying to establish a rule that whatever I create with this application, if I sell it, I have to give them a cut. And iBooks Author is free, so this arrangement sounds pretty reasonable.

Here’s the problem: I didn’t agree to it. Apple wants me to believe I did, of course, just by using the software:

PLEASE READ THIS SOFTWARE LICENSE AGREEMENT (“LICENSE”) CAREFULLY BEFORE USING THE APPLE SOFTWARE. BY USING THE APPLE SOFTWARE, YOU ARE AGREEING TO BE BOUND BY THE TERMS OF THIS LICENSE. IF YOU DO NOT AGREE TO THE TERMS OF THIS LICENSE, DO NOT INSTALL AND/OR USE THE SOFTWARE.

But that language is in the EULA itself, a contract of adhesion which I was not required to sign (or even indicate my agreement to by clicking) before installing the software. So, to paraphrase: By using this software, you agree that anything you make with it is in part ours. But if it can say that and have legal force, can’t it say anything? Isn’t this the equivalent of a car dealer trying to bind you to additional terms by sticking a contract in the glove compartment? By driving this car, you agree to get all your oil changes from Honda of Cupertino?

Apple, in this EULA, is claiming a right not just to its software, but to its software’s output. It’s akin to Microsoft trying to restrict what people can do with Word documents, or Adobe declaring that if you use Photoshop to export a JPEG, you can’t freely sell it to Getty. As far as I know, in the consumer software industry, this practice is unprecedented. I’m sure it’s commonplace with enterprise software, but the difference is that those contracts are negotiated by corporate legal departments and signed the old-fashioned way, with pen and ink and penalties and termination clauses. A by-using-you-agree-to license that oh by the way asserts rights over a file format? Unheard of, in my experience.

When I make something myself, no matter what software I use to make it, then — assuming it doesn’t infringe any copyrights — it’s my right to distribute it however I want, in whatever format I choose, for free or not. I don’t lose the right to publish my novel if Microsoft determines that I wrote it using a pirated copy of Word. Would I lose that right if I tried to sell my iBook outside of the iBookstore and Apple got wind of it? I don’t know; we’re in uncharted waters here. Or how about this: for a moment I’ll stipulate that Apple’s EULA is valid and I’ve agreed to it implicitly by using the software. Now suppose I create an iBook and give it to someone else who has never downloaded iBooks Author and is not party to the EULA, and that person sells it on their own website. What happens now?

In ensuring that the App Store remains the only legitimate market for iOS apps, Apple doesn’t claim any legal rights to the content I create using its Xcode toolset. Instead, they enforce technical restrictions; apps must be cryptographically signed by Apple in order to run on unaltered iOS devices. Is this a good situation? For Apple and for novice users, maybe, but for developers it sucks and causes massive headaches. But in a way it’s better than a world in which software can assert whatever rights it wants over your stuff just by hiding a few paragraphs in its glove compartment.

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26 thoughts on “Faema: se usi questa macchina del caffè per farli e venderli, ci devi dare una percentuale degli incassi”

  1. in effetti da quel che so spesso i produttori di caffè regalano ai gestori del bar la macchina, o meglio la lasciano in comodato d’uso fintanto che sono loro clienti…
    comunque capisco il punto e concordo che l’inserimento in modo subdolo di una clausola di questo genere sia appunto… subdolo, però sono dell’idea che se Apple ha deciso di regalare questo sw trovo legittimo che metta delle restrizioni nell’uso che chi decide di utilizzarlo può fare.
    e il discorso “sarebbe come se Microsoft mettesse delle restrizioni a ciò che un utente può fare con Word” vale fino ad un certo punto perché in un caso, Apple iBooks Author, il prodotto è gratuito e in un altro, MS Word, è a pagamento (e comunque a ben vedere le restrizioni le hai perché quando compri Word di fatto non compri il prodotto ma compri una licenza d’uso, quindi sei comunque legato ad un agreement, cosa che non succede se ad esempio compri una biro…).

  2. Non doveva essere una clausola poi così tanto subdola e nascosta se se ne è cominciato a discutere poche ore dopo il lancio del software…, no?
    Se i libri prodotti (che vengono pubblicati -gratis e a pagamento- attraverso iBook/iTunes store di Apple) vengono resi disponibili gratuitamente Apple non chiede nulla e chiede un 30% solo sull’eventuale prezzo di vendita. Io, sarò miope, non vedo “scandalo”. Si potrà discutere sulle “proporzioni”, ma non sul principio.

  3. Se vuoi venderlo da un’altra parte, prendi un altro software e magari paghi chi lo sa’ usare (preparare ePub/eBook ė una cosa più complicata di quanto non sembri), usi un altro servizio di hosting, ti preoccupi del fatto che la gestione dei drm funzioni, ecc. ecc. ed infine risparmi il 30% delle commissioni a Apple.
    Mi sembra semplice…

  4. a mio avviso non è così: non credo che Apple accampi dei “diritti di proprietà”, ma più semplicemente” nel caso in cui tu voglia trarre un profitto dalla tua opera creata con il suo software ti obbliga ad utilizzare il suo canale di vendita trattenendosi una % del prezzo di vendita.
    semmai la vera domanda è: OK ad essere obbligato ad usare il canale di vendita di Apple per vendere il mio libro fatto con il suo sw, ma se io prendo il contenuto e usando un altro sw creo una versione del mio e-book posso farne cosa voglio?
    dai passi dell’EULA sembra di si, Apple ti limita nella distribuzione del “Work” realizzato con il suo sw, quindi il puro contenuto (inteso come testo e immagini) formattato con un altro sw può essere liberamente distribuito su altre piattaforma.
    se davvero è così viene a cadere ogni dubbio sul fatto che Apple ritenga “diritti di proprietà” sulle opere altrui!

  5. a mio avviso non è così: non credo che Apple acampi dei “diritti di proprietà”, ma più semplicemente” nel caso in cui tu voglia trarre un profitto dalla tua opera creata con il suo software ti obbliga ad utilizzare il suo canale di vendita trattenendosi una % del prezzo di vendita.
    semmai la vera domanda è: OK ad essere obbligato ad usare il canale di vendita di Apple per vendere il mio libro fatto con il suo sw, ma se io prendo il contenuto e usando un altro sw creo una versione del mio e-book posso farne cosa voglio?
    dai passi dell’EULA sembra di si, Apple ti limita nella distribuzione del “Work” realizzato con il suo sw, quindi il puro contenuto (inteso come testo e immagini) formattato con un altro sw può essere liberamente distribuito su altre piattaforma.
    se davvero è così viene a cadere ogni dubbio sul fatto che Apple voglia far valere “diritti di proprietà” sulle opere altrui!

  6. mettiamola cosi, nel libero mercato tutti sono liberi di proporre qualsiasi cosa anche le oscenità e tutti sono “liberi” (e per affermarlo DEVONO esistere delle alternative) di accettare ma anche (sempre se esistono le alternative) di evitare e punire l’arroganza delle proposte… l’importante è che le proposte oscene siano esplicite e che vi siano proposte alternative **altrettanto** note all’utente che accetterà
    io produco un martello posso:
    a) venderlo (e chi lo compra ci fa quello che vuole compreso distruggerlo)
    b) lo affitto (e chi lo compra ci fa quello che vuole purche me lo restituisca integro)
    c) mi faccio dare una percentuale dei guadagni che realizza con il martello
    d) mi faccio dare una percentuale dei guadagni che realizza ed in più lo obbligo ad usare i miei chiodi ed a lavorare solo per chi gli dico io etc. …. le condizione possono essere infinite 🙂
    se lo fa uno dei tanti (sconosciuti) produttori di martelli, non c’e’ nessun problema perche se qualcuno accetta sarà per vera piena libera scelta e “de gustibus …” ma se il proponente è il produttore unico/dominante e/o l’acquirente è in condizioni informative “minorate” allora o si ripristinano le condizione di “produzioni alternative” e quelle di “informazione sulle alternative” del cliente o siamo usciti dal liberismo ed entrati nel regno delle azioni coercitive non gradite (non voglio usare il termine “dittatura” perché atterrebbe alla sfera politica ed alle azioni coercitive esercitate per mezzo della forza e non voglio usare il termine “monopolio” perché non esplicita a sufficienza la violazione di libertà)
    Adam Smith non fonda la ricchezza delle nazioni sull’egoismo del birraio come sembrerebbe ad una prima lettura superficiale ma, analizzando meglio, è la libertà di produrre che consente all’egoismo del birraio di produrre ricchezza a cui, solo recentemente abbiamo capito, che va aggiunta NECESSARIAMENTE la diffusione informativa delle alternative (cosa di cui Adam smith non aveva e sinceramente non poteva avere coscienza)
    La verità è sempre la stessa i “produttori” dominanti di qualsiasi bene/servizio si professano per il liberismo solo perchè questo è funzionale alle pretese di essere liberi (LORO) da lacci e lacciuoli ma poi sono gli artefici diretti della violazione (piu o meno palese) della libertà altrui di produrre (e quindi di generare ricchezza) paradossalmente siamo di fronte alla più grave delle violazioni della ideologia liberista attuata da chi se ne professa il campione, è come se i ladri rivendicassero il furto come l’esercizio di una libertà 🙂

  7. Caro Quintarelli, oggi è un venerdì pomeriggio di relax, che mi consente di dedicare adeguata attenzione al tuo blog, veramente sempre stimolante. Sono intervenuto in materia di rassegne stampa online ed in materia di posizione evanescente di Calabrò di fronte al Seantgo. Propongo ora un mio modesto contributo alla tua critica alla posizione di Anica. La posizione di Anica è allineata a quella di Confindustria Cultura e la ritengo convidisibile: è evidente che, in prospettiva di lungo periodo, potrebbe emergere dall’economia del web un qualche “modello di business” realmente alternativo, e fattibile, rispetto a quelli tradizionali, in buona parte ancora validi. Ma, nel lungo periodo, Keynes insegna, saremo – ahinoi – tutti morti. Per ora, i casi di successo sono eccezioni alla regola. Le terribili “major” ovvero le conglomerate multimediali attuali sono ancora oggi gli unici garanti di un livello di investimenti in contenuti di qualità che consente la sopravvivenza e la rigenerazione dei contenuti. Google investe quasi nulla in contenuti. E la sua capacità di remunerare i produttori di contenuti, artigianali o professionali che siano, non consente agli stessi né la sopravvivenza né la chance di investire in ricerca e sperimentazione. Di cosa stiamo parlando, di grazia?! Di un mondo iperuranico. Tu sei convinto che la sopravvivenza dei gruppi editoriali tradizionali (quelli centrati sull’editoria a stampa, intendo) verrà dal web? Tu scrivi: “p.s. abbiamo parlato di una cosa simile in un barcamp oggi qui al Sole: Google offre la possibilità di aumentare la visibilità in Google Plus degli autori degli articoli, con effetti benefici sul ranking del motore di ricerca (che vuol dire, nell’immediato, portare più visite al sito del giornale). Non è stato necessario spiegare… i colleghi hanno capito benissimo che dietro la prospettiva di modesta monetizzazione incrementale oggi c’è la intermediazione del business editoriale di domani e che c’e’ forte valore nella testata, ovvero nella gestione del rapporto con il lettore/cliente”. Veramente credi che questo sia il futuro?! Affascinante ma aleatorio assai. Io analizzo i bilanci dei gruppi editoriali, italiani e stranieri, e temo si riproduca il paradigma tragico dell’industria musisale: senza dubbio, il consumo di musica via web cresce, ma i flussi economici che esso produce non compensa minimamente la perdita di ricavi derivante dalla riduzione dei consumi non-web, senza dover necessariamente richiamare la piaga della pirateria. Google è veramente una “grande illusione”, se non – per alcuni aspetti – una “grande truffa”. E spiace che alcune illuminate intelligenze anche del centro-sinistra finiscano per divenire simpatici portatori d’acqua di questo grande neo-monopolista (altro che Telecom Italia!). Grazie per l’attenzione. Cordialmente. Angelo Zaccone Teodosi (a.zaccone@isicult.it) / http://www.isicult.it / http://www.italiaudiovisiva.it/blog

  8. il mio richiamo a google e’ per il pattern di comportamento, non certo come alternativa di redditivita’.
    basta leggere il mio post http://is.gd/4kgR75
    sono contento di essere il direttore generale dell’editore digitale di un gruppo che edita un giornale cartaceo. ho imparato e capito molto.
    i giornali, a differenza della musica e del cinema, non possono prendersela con la pirateria. non e’ un alibi da sciorinare a investitori ed analisti ne’ una pia illusione “stiamo male per colpa della pirateria, se non fosse per quella staremmo bene, dobbiamo uccidere i pirati”.
    il crollo della distribuzione e della pubblicita’ avviene perche’ determinato dalla digitalizazione che polverizza il valore delle news e ne disaggrega l’accesso. non dalla pirateria che sulle vendite dei quotidiani non incide. (e non c’e’ barriera possibile alla digitalizzazione, che e’ frutto dell’evoluzione della fisica)
    dato questo scenario, che fare ?
    capire che l’industria dovra’ cambiare, che saranno necessari sacrifici, che sopravviveranno meno degli attuali, che chi sopravvivera’ fara’ cose diverse da oggi e che per quella piccola parte di cose che fara’ in futuro e che oggi costituiscono gran parte delle proprie attività, per quelle sara’ essenziale avere un contatto diretto con il cliente e non intermediato da chi sfrutta la propria posizione, facendosi forte di un quadro regolamentare che lo favorisce, per imporre la sua transizione da abilitatore ad intermediario. (e non mi riferisco certo a google).
    (per inciso, oggi per il digitale abbiamo UN cliente che in regime di monopsonio acquista il 90% dei quotidiani digitali italiani (perche’ e’ lui ad acquistare e rivendere al lettore, non e’ l’editore a vendere al lettore; abbiamo UN solo cliente che si prende una fetta maggiore dell’aggio della distribuzione fisica…))
    questo e’ accaduto per l’editoria nel giro di due anni ed accadrà per il cinema in un arco di tempo confrontabile.
    non credo giovi buttarla in politica. (anzi, in “partitica”). ognuno fa le dichiarazioni d’effetto che crede per lisciare la base ai propri clienti (pardon, elettori).
    ma mi creda, aldila’ delle dichiarazioni pubbliche, molti esponenti politici che conosco e che so essere interessati alla questione, indipendentemente dal colore, hanno chiaro lo scenario ed hanno chiaro che occorre mettere mano alle norme sul diritto d’autore e regolamentare anche libere utilizzazioni e mercati secondari.
    (ed a questo si riferiscono. ci faccia caso, non dicono “occorre una legge che chiarisca i poteri all’autorita”, che per il caso di specie sarebbe sufficiente, ma che “occorre mettere mano al diritto d’autore”)
    alla fine di un recente incontro su questioni legate all’editoria, e’ stato detto a me ed altri colleghi esperti dell’argomento “vi ho sentiti per avere idee su come prendere una zanzara, mi avete mostrato uno scenario da caccia grossa”.

  9. Gentile Quintarelli, grazie per la puntuale risposta. Senza dubbio, industrie come quella dei quotidiani e dei periodici, e quella musicale e quella audiovisiva hanno tratti strutturali in comune, ma anche molte peculiarità e differenze. Io mi limito ad osservare che tutte “piangono”, comprensibilmente. Pianti dalle diverse tonalità, ma è un dato di fatto che sia i fatturati sia la forza-lavoro decrescono, e non soltanto in Italia ovviamente. E dal “rutilante mondo digitale” pervengono per ora soltanti “segnali” e prospettive ottimistici (quanto gonfiati, penso alla grancassa del Boston Consulting Group), e flussi reddituali che non compensano la crisi di ricavi. Domando: “è il mercato, baby?”. Domando: “così va il mondo?”. Ne siamo sicuri. Ci si rassegna e si spera nella catarsi digitale?! Non so. Mi sia consentito osservare: i “policy maker” prestano tanta ma tanta attenzione ai tubi (mi consenta la rozza metafora), ma ai contenuti, invece?! La Commissione Europea ed il Governo italiano promuovono “agende digitali”, nella cui economia il problema dei contenuti di qualità (siano essere news o fiction) viene completamente ignorato. E’ giusto, ciò? Lei nutre nei confronti degli italici “politici di professione” una fiducia che non ho da decenni (era meglio ai tempi della Prima Repubblica: al confronto, Martelli era un gigante, rispetto ai Bondi o Galan…). Francamente, il Parlamento italiano non mi sembra in grado di partorire una riforma del diritto d’autore degna della complessità contemporanea e futura, che Lei sa ben analizzare.
    Lei scrive: “il crollo della distribuzione e della pubblicità avviene perchè determinato dalla digitalizazione che polverizza il valore delle news e ne disaggrega l’accesso, non dalla pirateria che sulle vendite dei quotidiani non incide (e non c’è barriera possibile alla digitalizzazione, che è frutto dell’evoluzione della fisica)”. Personalmente, credo che la digitalizzazione polverizzante è il risultato di un habitat digitale non ben temperato. Sregolato. A-regolato. Non sono né uno statalista né un protezionista, ma Lei sa meglio di me che l’industria culturale francese è più solida di quella italiana: perché è stata aiutata (talvolta anche assistita, il termine non produca orrore) da uno Stato sensibile e lungimirante. E’ così osceno, di fronte alle dinamiche della globalizzazione, invocare il diritto ad una “cultura nazionale”? A contenuti di qualità? Lo Stato può e deve intervenire, sia riformando il diritto d’autore sia sostenenendo chi investe e rischia nei contenuti di qualità. Vorrei evitare di assistere silente ad una “cronaca di una morte annunciata” dell’industria culturale italiana. Grazie per l’attenzione. Cordialmente. Angelo Zaccone Teodosi (a.zaccone@isicult.it) / http://www.isicult.it / http://www.italiaudiovisiva.it/blog

  10. dal mondo digitale provengono solo segnali per le industrie “tradizionali” e di tanto di piu’ non potra’ venire. ma vengono ricavi assai importanti per altre industrie, basti pensare ai videogiochi o al gambling, tanto per restare nell’intrattenimento o alla medicina/wellness per andare in altri settori.
    Che in italia ci sia troppa enfasi sulle infrastrutture e’ vero e mi sembra di essere il primo ad evidenziarlo.
    Non mi pare di avere manifestato grande fiducia nei politici di professione, ma in alcuni con cui io ho avuto occasione di confrontarmi.
    La polverizzazione digitale deriva dall’aumento della capacita’ di calcolo e memorizzazione dei dispositivi che vanno nelle mani degli utenti con una accelerazione centrifuga rispetto ai tempi in cui il trattamento era centralizzato. non e’ evitabile. lo sviluppo della fisica non dipende e non puo’ essere condizionato da noi. che ci piaccia o no, quella e’ la direzione e o corriamo o veniamo travolti da chi corre.
    Personalmente non mi fa assolutamente orrore sostenere la cultura nazionale, cosa che peraltro dovrebbe fare la Rai… poi, fondi per l’editoria ce ne sono molti, non conosco la situazione per il cinema, ma mi sembra che ci siano fondi anche per il cinema.

  11. “occorre violare le misure tecniche di protezione del dispositivo piattaforma, con un procedimento complesso e che, per inciso, è anche reato” scusa, mi sfugge, che reato è?

  12. Bellissimo post Stefano..
    Senza girarci intorno, senza Apple e Amazon non credo che il mercato digitale sarebbe quello che abbiamo oggi. Sono aziende che hanno saputo hackare la vecchia distribuzione e volgerla a proprio vantaggio. Questo non è un male, si chiama innovazione e sappiamo bene che è una forza anti-competitiva.
    Tra l’altro la distribuzione digitale ha dato un bel colpo all pirateria specie in campo musicale.
    Non è un problema lasciare qualche anno un innovatore da solo a far soldi, è lo stesso principio dei brevetti, ma dopo un po’ bisogna salvaguardare l’interesse pubblico ed aprire il mercato. Fu così con IBM nel ’59 (brevetti presenti e futuri) e nel ’66 (software scorporato dall’hardware). Gli States sono cresciuti ancora di più.
    Per cui credo che a breve si dovrà intervenire. Sul metodo da usare non ho un’idea precisa ma ci sono diverse vie percorribili. Speriamo solo in un regulator intelligente e attento. L’UE mi da più fiducia delle autorità italiane. Opinione personale ovviamente.

  13. Interessantissima discussione, non me ne vorrà il padrone di casa (che stimo e che leggo sempre volentieri per gli spunti stimolanti che offre con i suoi posts), ma le considerazioni di Angelo Zaccone Teodosi mi pare che riproducano fedelmente il quadro che da circa un decennio si sta delineando. Gli interventi sulle norme in materia di diritto d’autore suggeriti da Angelo Zaccone Teodosi (che nella sostanza sono gli stessi suggeriti in più occasioni anche dallo stesso Quintarelli ed altri attenti commentatori della specifica realtà e degli equilibri geo-economici in dinamico movimento) andavano adottati da tempo, per evitare che si giungesse a situazioni di monopolio e monopsonio distorsive dei rapporti di forza economica e contrattuale e, purtroppo (come invece è accaduto), delle stesse regole poste alla base dei principi di equità e convivenza sociale.
    Il problema sollevato con magistrale concretezza e precisione da Angelo Zaccone Teodosi è il vero problema che tutti i Governi del mondo dovranno affrontare senza ulteriore indugio per salvaguardare la stessa informazione libera. Bisogna superare il falso dualismo ed il falso modello che pone in competizione fra loro tutela dei contenuti di qualità da un lato ed informazione libera dall’altro. Entrambi gli elementi vanno tutelati (come da sempre fa la BBC) con opportune azioni di sussidiarietà; tali azioni dovranno essere instradate in un nuovo contesto normativo in materia di copyright, universalmente accettato e riconosciuto. In questo senso vanno valutate positivamente, a mio avviso, anche le parole del Presidente Calabrò nel suo speech al Senato ed il suo opportuno riferimento alla necessità di una legislazione (in subiecta materia) condivisa in sede ONU.

  14. sono d'accordo su tutto meno una cosa…
    sposo al 100% in particolare "tutti i Governi del mondo dovranno affrontare senza ulteriore indugio per salvaguardare la stessa informazione libera" e "superare il falso dualismo ed il falso modello che pone in competizione fra loro tutela dei contenuti di qualità da un lato ed informazione libera dall'altro. Entrambi gli elementi vanno tutelati …con opportune azioni di sussidiarietà;"
    la cosa su cui non sono d'accordo e' che si debba aspettare l'ONU. gli interessi in gioco sono molto grandi e l'ONU è catturato piu' del regolatore nazionale.
    il reegolatore nazionale tuttavia ha meno vincoli se si ispira al principio dell'interesse superiore dello Stato.

  15. che è il motivo per cui Londra nei prossimi anni cercherà di diventare una “Smart City”.
    CISCO, invece, è promotore di questa iniziativa: http://ciscobig.co.uk/ che, fra le altre cose, prevede la creazione di “parchi tecnologici” super-connessi a Internet e fra di loro. Una serie di servizi offerti alle nuove startup che dovrebbe attirarle/facilitarne la crescita.

  16. Dimenticavo… che va in parallelo con la creazione di un “parco tecnologico” Genova High Tech che si propone di riunire in un unico campus aziende quali Esaote, Ericsson, Siemens e la facoltà di Ingegneria.
    Un progetto simile a quello realizzato a Torino tra Fiat/GM ed i Politecnico e che ovviamente necessita di basi IT e Telco di prim’ordine.

  17. interessante. fra l’altro, dalle parti di Genova c’e’ anche l’IIT.
    io di Londra so che, probabilmente in modo simile a Genova, c’e’ un forte coinvolgimento sia pubblico (Major of London) che privato (BT e i suoi progetti di “ultra-fast broadband”, Virgin che entro l’estate offrira’ copertura wi-fi nelle maggiori stazioni della metro, piu’ vari vendor per creare l’infrastruttura). sul piano applicativo, invece, c’e’ l’open data, che ha un ruolo fondamentale perche’ molti lo vedono come elemento essenziale per poter offrire nuovi servizi ai cittadini e per creare quell’ecosistema in cui si dovrebbe sviluppare innovazione. un po’ tipo quello che e’ successo qui: http://www.smartertechnology.com/c/files/a/Cloud-Computing/Chattanooga-Builds-a-Smart-City/

  18. Mi pare un modello simile: il progetto Genova Smart City è nato dalla candidatura di Genova per la selezione promossa dalla Comunità Europea (http://www.urbancenter.comune.genova.it/node/596), attraverso un’associazione di istituzioni pubbliche, università e diverse aziende private.
    Qui in realtà lo scope of work è più ampio della pura connettività ultra-broadband: l’obiettivo riguarda riduzione dei consumi energetici e delle emissioni, smart grid, mobilità sostenibile etc.
    Insomma, questo unito alla banda ultra-larga serve a creare un ecosistema, poi da cosa nasce cosa…
    PS:
    L’Open Data è arrivato anche qui: http://www.dati.gov.it/

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