Tanti profitti e poca innovazione: il Fondo Monetario mette sotto accusa il capitalismo vorace

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Tanti profitti e poca innovazione: il Fondo Monetario mette sotto accusa il capitalismo voraceStudi dell’istituzione con sede a Washington mostrano come negli ultimi anni le grandi corporation stiano non solo riducendo la quota dei propri guadagni destinata ai lavoratori ma anche la propensione ad investire. Così le aziende incassano di più con sforzi minori. E per sconfiggere la concorrenza preferiscono assorbire i competitor anziché sfidarli sul mercato. Così le prime conseguenze cominciano già a vedersi12 Gennaio 2019(afp)E’ la sigla del nostro tempo: WWW. E sta, non per World Wide Web, ma per il Wild Wild West del capitalismo. Ossessionato dagli immigrati, il 99 per cento di occidentali meno fortunato economicamente non si rende conto, infatti, che, da qualche decennio, il grande capitale gli mette le mani nelle tasche. Anzi, negli ultimi 5-6 anni le mega corporations sono diventate sempre più voraci e questa avidità, oltre ad inasprire le ineguaglianze, compromette anche le prospettive di futuro sviluppo dell’economia.No, non è un volantino di “Potere al popolo”. Sono i risultati appena sfornati dagli economisti che lavorano in quel tempio dell’ortodossia economica che è il Fondo monetario internazionale. Cosa dicono, infatti, gli ultimi studi Fmi? In sostanza, non solo che nella divisione dei guadagni delle imprese, la quota che va ai profitti continua ad aumentare drammaticamente rispetto a quella che va ai lavoratori, ma che le stesse imprese prendono sempre più per il collo anche i consumatori in genere. A questo punto, al riparo del potere di mercato così conquistato, si guardano bene dall’innovare ed investire, compromettendo lo sviluppo futuro.E’ l’onda lunga della rivoluzione neoliberista degli anni ’80. Quella deregulation ci ha regalato la crisi finanziaria del 2008, ma, comprimendo il potere contrattuale dei sindacati e aprendo la porta alla delocalizzazione  e alla robotizzazione selvaggia ha anche stravolto i rapporti di forza tra capitale e lavoro. I dati dicono che l’economia americana viaggia a tutta velocità, la disoccupazione non è mai stata così bassa, ma i salari tengono a malapena il passo dell’inflazione, sconfessando tutti i manuali di economia. Come è possibile? In buona misura, dice il Fmi, perché la quota del prodotto che va al lavoro continua a diminuire sempre più velocemente rispetto a quella che va ai profitti. In soli 15 anni, la quota dei lavoratori è scesa, nell’economia reale americana, dal 65 al 58 per cento del prodotto. Ogni anno, su 100 dollari di produzione, insomma, i capitalisti si sono messi in tasca mezzo dollaro in più dell’anno prima.Ma lo strapotere del capitale è tracimato al di là dei muri della fabbrica e ha invaso il mercato. I ricercatori del Fmi hanno studiato l’evoluzione del mark-up, ovvero – per dirla in termini semplici – quello che l’azienda riesce a caricare in più, sul prezzo ai consumatori, rispetto ai propri costi. E’ il numero che esprime il potere di mercato delle imprese. Dal 1980 ad oggi, calcola il Fmi, questo guadagno extra che le aziende lucrano, rispetto ad una situazione di concorrenza perfetta, in cui i prezzi sono appena superiori ai costi, è cresciuto di uno sbalorditivo 43 per cento. E aumenta sempre più in fretta: quasi metà di quel 43 per cento (il 19 per cento) sottratto ai consumatori, è stato realizzato dopo il 2010. I ricercatori si aspettavano questi extraprofitti da monopolio o oligopolio in settori in rapidissima crescita come l’informatica e la comunicazione, insomma, dalle parti di Big Tech. Ma hanno dovuto ricredersi. Le aziende in grado di creare extraprofitti (grazie al mark-up e alla ripartizione squilibrata dei guadagni con i lavoratori) sono in genere le “superstar”, le aziende più produttive, ma un po’ di tutti i settori.E’ la legge del capitale, tanto vale rassegnarsi, non c’è niente da fare? Assolutamente no, dicono al Fondo. Anzi, bisogna preoccuparsi, perché è un problema. Inizialmente, infatti, un mark-up positivo dà alle aziende migliori i margini per innovare ed investire. Una volta conquistato il potere di mercato, però, l’azienda si siede, innova e investe sempre meno, sfrutta il suo potere di mercato per impedire l’emergere di concorrenti più innovativi o per inglobarli uno dopo l’altro, come fanno continuamente Google o Pfizer, condannando, a lungo termine, l’economia al ristagno. Che sia quello il baco che rode Apple o Samsung? In ogni caso, gli economisti del Fmi hanno il pudore di non mostrare sorpresa: le imprese facevano lo stesso nell’ultima era di capitalismo sfrenato, un secolo fa.La Repubblica si fonda sui lettori come te, che ogni mattina ci comprano in edicola, guardano il sito o si abbonano a Rep:. È con il vostro contributo che ogni giorno facciamo sentire più forte la voce del giornalismo e la voce di Repubblica.Mario CalabresiSostieni il giornalismo!
Abbonati a Repubblica© Riproduzione riservata12 Gennaio 2019

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1 thought on “Tanti profitti e poca innovazione: il Fondo Monetario mette sotto accusa il capitalismo vorace”

  1. Ho provato a cercare il report dell’imf alla base dell’articolo ma non lo riesco a trovare…Posso chiedere gentilmente il link.
    Grazie.
    Nicola

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